Voglio iniziare questa sezione del blog sui libri che trattano argomenti correlati alla montagna con una provocazione, se volete.

Foto dal film Il Murràn-Masai in the Alps di Sandro Bozzolo.

Immigraziene e Immigrati

In questi ultimi mesi si fa un gran parlare di immigrazione e di immigrati, ci si accapiglia intorno a questo tema dividendosi in fazioni. Io credo che sia quantomai necessario uscire dalla logica dell’emergenza e del “fenomeno straordinario”, senza farsi condizionare da tante “belinate” (concedetemi la licenza) divulgate a puro scopo elettorale. Credo anche che questa sia l’unica strada per trasformare un fenomeno in un’opportunità, nel cuore di un Paese che ogni anno, purtroppo, è più vecchio.

(Fonte: Amazon)

Perciò vi presento il libro “Per forza o per scelta” dell’editrice Aracne (ISBN 978-88-255-0494-1, 314 pagine, disponibile anche in e-book e print on demand), curato da Andrea Membretti, Ingrid Kofler e Pier Paolo Viazzo e che fa il punto sulla presenza di immigrati e rifugiati nelle montagne italiane. Lo fa in modo chiaro, aggiornato e puntuale, partendo da dati che possono sorprendere chi ancora non si è reso conto del fenomeno in atto.

Questo libro rappresenta indubbiamente una novità.

Nuovo è l’oggetto, perché il fenomeno è assolutamente recente e in fieri, ancora poco o per nulla affrontato nella sua complessità, in particolare per quanto riguarda la presenza dei profughi nelle zone montane e il loro impatto sulle comunità locali.

Nuovo è poi lo sguardo d’insieme che gli autori hanno adottato, poiché hanno scelto di considerare la presenza straniera non solo a livello di Alpi – dove alcuni approfondimenti su Austria e Svizzera offrono un “assaggio” al lettore italiano delle dinamiche migratorie in atto Oltralpe – ma anche relativamente agli Appennini.

Nuova infine è la situazione in cui oggi ci troviamo a discutere e a progettare. L’immigrazione in montagna non è certo una novità: basti pensare alla migrazione della popolazione Walser, per esempio.

Però  il fenomeno immigratorio con cui oggi siamo chiamati a confrontarci è una novità assoluta: lo è sia per i numeri decisamente maggiori che lo caratterizzano che per la velocità con cui si va sviluppando.

Gli stranieri in montagna

Gli stranieri che già abitano stabilmente nei Comuni alpini italiani sono quasi 400.000 (circa un milione comprendendo i comuni appenninici) e si dedicano principalmente ad attività tendenzialmente “trascurate” dagli italiani: pastorizia, ripristino di costruzioni abbandonate e muretti a secco, taglio e manutenzione forestale, lavori nelle vigne e in alpeggi, estrazione della pietra, pulizie alberghiere, assistenza domiciliare, ecc. 

Se si considera che il 90% dei Comuni montani ha meno di 10.000 abitanti e che gran parte dei piccoli centri è interessato da fenomeni di spopolamento e di invecchiamento demografico, risulta evidente come la crescita di popolazione straniera stia dando un contributo importante alla tenuta del tessuto sociale ed economico dei Comuni stessi.

Infine la parte che, secondo il mio modesto punto di vista, è più importante: l’analisi di dodici casi di studio, che portano esempi di buone pratiche di accoglienza e integrazione di migranti e nuovi montanari, nel segno della convivenza umana e della convenienza economica. 

Una curiosità. Il primo racconto di montagna ce lo ha regalato Francesco Petrarca nel 1336 ed è il racconto di un’ascensione sul Monte Ventoso (Mont Ventoux, in Provenza, m. 1.912) in compagnia del fratello Gherardo. L’ascesa diviene per il poeta occasione di rappresentare la propria vicenda esistenziale. La conquista della vetta diviene metafora della conquista della salvezza, o almeno dell’anelito verso di essa.

(Fonte: Wikimedia Commons)

Oggi spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente  Monte Ventoso. Da molti anni mi ero proposto questa gita; come sai, infatti, per quel destino che regola le vicende degli uomini, ho abitato in questi luoghi sino dall’infanzia e questo monte, che a bell’agio si può ammirare da ogni parte, mi è stato quasi sempre negli occhi. […]

Partimmo da casa il giorno stabilito e a sera eravamo giunti a Malaucena, alle falde del monte, verso settentrione. Qui ci fermammo un giorno ed oggi, finalmente, con un servo ciascuno, abbiamo cominciato la salita, e molto a stento. La mole del monte, infatti, tutta sassi, è assai scoscesa e quasi inaccessibile, ma ben disse il poeta che «l’ostinata fatica vince ogni cosa».

Il giorno lungo, l’aria mite, l’entusiasmo, il vigore, l’agilità del corpo e tutto il resto ci favorivano nella salita; ci ostacolava soltanto la natura del luogo. In una valletta del monte incontrammo un vecchio pastore che tentò in mille modi di dissuaderci dal salire, raccontandoci che anche lui, cinquant’anni prima, preso dal nostro stesso entusiasmo giovanile, era salito sulla vetta, ma che non ne aveva riportato che delusione e fatica, il corpo e le vesti lacerati dai sassi e dai pruni, e che non aveva mai sentito dire che altri, prima o dopo di lui, avesse ripetuto il tentativo.

Ma mentre ci gridava queste cose, a noi – così sono i giovani, restii ad ogni consiglio – il desiderio cresceva per il divieto. Allora il vecchio, accortosi dell’inutilità dei suoi sforzi, inoltrandosi un bel po’ tra le rocce, ci mostrò col dito un sentiero tutto erto, dandoci molti avvertimenti e ripetendocene altri alle spalle, che già eravamo lontani. Lasciate presso di lui le vesti e gli oggetti che ci potevano essere d’impaccio, tutti soli ci accingiamo a salire e ci incamminiamo alacremente.

Ma come spesso avviene, a un grosso sforzo segue rapidamente la stanchezza, ed eccoci a sostare su una rupe non lontana. Rimessici in marcia, avanziamo di nuovo, ma con più lentezza; io soprattutto, che mi arrampicavo per la montagna con passo più faticoso, mentre mio fratello, per una scorciatoia lungo il crinale del monte, saliva sempre più in alto. Io, più fiacco, scendevo giù, e a lui che mi richiamava e mi indicava il cammino più diritto, rispondevo che speravo di trovare un sentiero più agevole dall’altra parte del monte e che non mi dispiaceva di fare una strada più lunga, ma più piana.

Pretendevo così di scusare la mia pigrizia e mentre i miei compagni erano già in alto, io vagavo tra le valli, senza scorgere da nessuna parte un sentiero più dolce; la via, invece, cresceva, e l’inutile fatica mi stancava. Annoiatomi e pentito, oramai, di questo girovagare, decisi di puntare direttamente verso l’alto e quando, stanco e ansimante, riuscii a raggiungere mio fratello, che si era intanto rinfrancato con un lungo riposo, per un poco procedemmo insieme.

Avevamo appena lasciato quel colle che già io, dimentico del primo errabondare, sono di nuovo trascinato verso il basso, e mentre attraverso la vallata vado di nuovo alla ricerca di un sentiero pianeggiante, ecco che ricado in gravi difficoltà.Volevo differire la fatica del salire, ma la natura non cede alla volontà umana, né può accadere che qualcosa di corporeo raggiunga l’altezza discendendo. Insomma, in poco tempo, tra le risa di mio fratello e nel mio avvilimento, ciò mi accadde tre volte o più.

Deluso, sedevo spesso in qualche valletta e lì, trascorrendo rapidamente dalle cose corporee alle incorporee, mi imponevo riflessioni di questo genere: «Ciò che hai tante volte provato oggi salendo su questo monte, si ripeterà, per te e per tanti altri che vogliono accostarsi alla beatitudine; se gli uomini non se ne rendono conto tanto facilmente, ciò è dovuto al fatto che i moti del corpo sono visibili, mentre quelli dell’animo son invisibili e occulti. 

La vita che noi chiamiamo beata è posta in alto e stretta, come dicono, è la strada che vi conduce. Inoltre vi si frappongono molti colli, e di virtù in virtù dobbiamo procedere per nobili gradi; sulla cima è la fine di tutto, è quel termine verso il quale si dirige il nostro pellegrinaggio. […]

C’è una cima più alta di tutte, che i montanari chiamano il «Figliuolo»; perché non so dirti; se non forse per ironia, come talora si fa: sembra infatti il padre di tutti i monti vicini. Sulla sua cima c’è un piccolo pianoro e qui, stanchi, riposammo. E dal momento che tu hai ascoltato gli affannosi pensieri che mi sono saliti nel cuore mentre salivo, ascolta, padre mio, anche il resto e spendi, ti prego, una sola delle tue ore a leggere la mia avventura di un solo giorno. Dapprima, colpito da quell’aria insolitamente leggera e da quello spettacolo grandioso, rimasi come istupidito. […]

Ma ecco entrare in me un nuovo pensiero che dai luoghi mi portò ai tempi. «Oggi – mi dicevo – si compie il decimo anno da quando, lasciati gli studi giovanili, hai abbandonato Bologna. Dio immortale, eterna Saggezza, quanti e quali sono stati nel frattempo i cambiamenti della tua vita! Così tanti che non ne parlo; del resto non sono ancora così sicuro in porto da rievocare le trascorse tempeste. Verrà forse un giorno in cui potrò enumerarle nell’ordine stesso in cui sono avvenute; premettendovi le parole di Agostino: ‘Voglio ricordare le mie passate turpitudini, le carnali corruzioni dell’anima mia, non perché le ami, ma per amare te, Dio mio’. 

Troppi sono ancora gli interessi che mi producono incertezza ed impaccio. Ciò che ero solito amare, non amo più; mento: lo amo, ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la verità. È proprio così: amo, ma ciò che amerei non amare, ciò che vorrei odiare; amo tuttavia, ma contro voglia, nella costrizione, nel pianto, nella sofferenza. In me faccio triste esperienza di quel verso di un famosissimo poeta:‘Ti odierò, se posso; se no, t’amerò contro voglia’.

Con questo articoletto, inizio una nuova sezione del blog dedicata alle citazioni.

Esse sono in qualche modo legate al mondo della montagna e sono pensieri che io ho poi ricondotto ad una specifica situazione che si è verificata durante una delle mie escursioni.

Intendo inserire sempre nuovi pensieri, quindi… buona lettura!

 

Un paese di pianura per quanto sia bello, non lo fu mai ai miei occhi. Ho bisogno di torrenti, di rocce, di pini selvatici, di boschi neri, di montagne, di cammini dirupati ardui da salire e da discendere, di precipizi d’intorno che mi infondano molta paura.

Jean-Jacques Rosseau