Verso il mare

Ci svegliamo di buon’ora, facciamo una frugale colazione, chiediamo indicazioni per una scorciatoia che ci porti sul sentiero in alto, paghiamo e usciamo all’aria frizzante del mattino.

Cappella della Costa

Seguiamo le indicazioni ricevute e in breve raggiungiamo la Cappella della Costa, quindi la cima del Monte Lavagnola, da cui si ha la prima fugace apparizione del mare.

Costeggiamo l’abitato di Sottocolle e in questo tratto rimango nuovamente da solo. I due leprotti si sono lanciati di corsa in discesa.

Io cerco di capire se i due disagiati sono davanti a me. Provo a telefonare più volte, ma entrambi non rispondono. Dopo svariati tentativi, danno segno di sé e mi dicono di essere poco più avanti a me. Li raggiungo, ma la loro compagnia dura, ahimè, poco.

Poco prima di un pugno di case, prima di un ponticello, il sentiero si stacca sulla sinistra e inizia a salire in modo deciso. Io rientro in “modalità trattorino”, getto lo sguardo il più avanti che posso ma non li vedo.

Possibile? Ma che andatura tengono? Boh…chiederò l’antidoping!

Arrivo a S. Alberto di Bargagli, chiedo a un paio di persone che incontro se hanno visto due disagiati che cercano di correre, ma la loro risposta è negativa.

Poco più avanti un ristorante.

Decido di fermarmi ad aspettarli, perché da lì avrebbero dovuto transitare. Intanto placo il mio appetito lupigno.

Mentre azzanno un paio di piccoli panini imbottiti, gusto anche la mia vendetta, consapevole del fatto che, non potendo competere in velocità, l’unica possibilità è data dal verificarsi di eventi fortuiti. Che puntualmente accadono.

I due leprotti, correndo con lo sguardo puntato sulle loro scarpe e con zero attenzione al segnavia, hanno continuato dritti sul ponticello e si sono ritrovati sulla strada provinciale.

Provo a telefonare. Subito nessuna risposta. Poi richiamano.

“Ma dove sei?”

“Ma dove siete voi? Io sono almeno venti minuti che sono arrivato a S. Alberto!”.

Correte, correte e non guardate dove mettete i piedi!

Inizio così, con puntuale regolarità, il “menaggio” che durerà fino all’arrivo.

Dopo la loro sosta per un rapido pasto, riprendiamo il viaggio verso il Colle del Bado. Scendiamo a Pannesi seguendo fedelmente il segnavia e risaliamo a Case Cornua (col senno di poi, però, è di gran lunga preferibile raggiungere la SP67 a Case Becco e poi scendere a Case Cornua sulla strada asfaltata).

Sosta per un bicchiere di coca alla Trattoria.

Da qui è possibile vedere Sori e il mare. Si apre il cuore!

Ormai è solo discesa.

Essendo questo pezzo della Via del Sale ben conosciuto da almeno uno dei leprotti, rimango per lunghi tratti nuovamente da solo. Ci ricongiungiamo sotto la statua del Redentore, scendendo verso Sant’Apollinare, quindi raggiungiamo la meta del nostro viaggio.

A rotta di collo verso il mare

Mentre scendo la ripida mattonata verso Sori, con il mare davanti agli occhi, mi vengono in mente le parole di Fabrizio de André:

“Bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä

Che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä”.

 

 

Giorno 2: circa 26 km e 600 mD+

Epilogo

La Via del Sale è finita.

Qualcuno rincorre la corriera che sta passando, qualcuno ozia in stazione aspettando il treno per Genova, qualcuno torna a casa a piedi.

Siamo stati molto bene insieme: è bello condividere il disagio con chi ti capisce.

Abbiamo “viaggiato” lungo i crinali dell’Appennino; ci siamo riempiti occhi e cuore di bellezza, di paesaggi che ci rimarranno impressi per molto, molto tempo.

É stata davvero un’esperienza fantastica!

Grazie Ravatti!

Alla prossima!

(Fine)

Verso l’Antola

Da Capanne di Cosola attraversiamo uno degli scenari più belli di tutta la Via del Sale. Il primo pezzo è, quasi sempre, in cresta. Il panorama intorno a noi è sempre molto bello; gli scorci molto suggestivi.

Si raggiunge in poco tempo il Monte Cavalmurone. Un po’ di sali e scendi, per fortuna leggeri, e si arriva al Monte Carmo. A questo punto abbiamo deciso di non conquistarne la vetta ma di girarci attorno, perché il meteo non era rassicurante ed eravamo già in ritardo sulla tabella di marcia.

Con disappunto, la trattoria a Capanne di Carrega non è chiusa: di più. Sbocconcelliamo qualcosa circondati da un paio di felini miagolanti che, a giudicare dall’aspetto, hanno più fame di noi. Pur nella miseria del pasto, provo a condividere: ma le barrette non sono proprio quello che si aspettano cada dalle mie dita.

Se fino ad ora la Via del Sale aveva camminato tra Piemonte ed Emilia Romagna, ora, proprio dal Monte Carmo, si comincia a seguire la linea di confine che divide il Piemonte dalla Liguria.

Da Capanne di Carrega, il sentiero fino a Torriglia è familiare: ne conosciamo ogni pietra.

Chi volesse percorrere questo tratto della Via del Sale può scaricare i due Guidebook “Casa del Romano – Monte Antola” e “Torriglia – Monte Antola” 

All’altezza del Passo delle Tre Croci, telefono al “Mulino del Lupo” di Torriglia, dove avevo prenotato la cena e il pernottamento. Conversazione surreale.

“Pronto? Sono Gianfranco Ortu… ho prenotato per tre cena e pernottamento…”

“Dove siete?”

Fornisco le indicazioni e la risposta è stata: “Ma come? Siete ancora lì! Ma noi chiudiamo la cucina alle 21”.

PANICO! Qualche secondo di silenzio…

“Le passo il titolare…”

“Pronto… Marco?”

“Non preoccupatevi, vi aspettiamo…”

Click.

Bagliore di sole calante sull’Antola (Foto: F.B.)

La notte

All’ombra dell’ultimo sole non solo si è assopito il pescatore, ma pure noi quattro ci siamo preparati, sulle panche nei pressi della chiesetta di San Pietro, per affrontare in notturna la discesa dall’Antola a Torriglia. Non siamo saliti in vetta perché le nuvole erano basse e non avremmo goduto del panorama.

Indossate le lampade frontali abbiamo iniziato la discesa, lambendo il Rifugio Parco Antola.

Tra una sosta e l’altra per aspettare chi si è attardato, inizia il campionato delle belinate.

Chi ha dato il fischio d’inizio? Non ricordo, comunque è poco importante.  E’ stato uno dei momenti più divertenti in assoluto.

Ricordo però che siamo arrivati a nominare tra gli altri, in un crescendo rossiniano, i seguenti personaggi dei cartoon: il vicesceriffo Sonnacchia, Pugacioff il luposky della steppaff e infine Posapiano Rodriguez, il cugino di Speedy Gonzales. Roba da lacrimazione!

Dopo l’ennesima belinata, abbiamo raggiunto le case di Donetta e poi, poco più in basso, quelle di Torriglia.

Salutiamo uno degli amici che deve tornare a Genova e ci incamminiamo verso il Mulino del Lupo.

Gnammm e Ronnnfff

All’ingresso un gruppo di persone ci guarda un po’ stupito: da dove arrivano questi qui?

Entriamo. “Buonasera… Abbiamo telefonato circa un’ora fa…”

“Ah sì, accomodatevi”

Ci mostrano la stanza, i servizi con la doccia e ci dicono che intanto apparecchiano.

Prendiamo possesso delle rispettive brande, ci laviamo e, con indumenti meno marci di quelli che ci siamo appena tolti, mettiamo le ginocchia sotto il tavolo.

Sopra, sul tavolo, ogni ben di Dio per far pace con i nostri stomaci semivuoti!

Così, per dare un’idea: uno di noi tre, tra l’indifferenza generale, riesce a sbafarsi un’intera fiammanghilla di melanzane grigliate condite con olio e origano!!!

Un vero atleta estremo, un freeclimber della tavola. ???

Fatte quattro chiacchiere con altri baldi giovani che avevano fatto lo stesso percorso (ma accampandosi sul Chiappo con la tenda e beccandosi un temporale coi fiocchi), ci ritiriamo in buon ordine.

Il tempo di notare il cane di uno degli ospiti accanto al letto a castello vicino al mio (speriamo non mi azzanni il polpaccio se mi alzo nottetempo) e plano tra le accoglienti braccia di Morfeo.

Giorno 1: circa 45 km e 2.400 mD+

(Continua…)

Inizio di settembre 2017.

“Eravamo quattro amici al bar, che volevano cambiare il mondo…”

No, non è vero.

Intanto perché non eravamo al bar e poi, soprattutto, perché per tutti erano ormai trascorsi, inesorabilmente, gli anni fatati e i giorni passati a tessere le belle illusioni.

Eravamo quattro amici in chat (e lo siamo tuttora, beninteso), che volevano fare qualcosa di originale in un weekend di settembre, magicamente libero da tutti gli impegni e benedetto dalla benevolenza e dalla comprensione delle rispettive metà.

Ecco, così è più realistico.

Dove si va?

Io timidamente azzardo una proposta: la “Via del Sale”. Ma quale? Di vie del sale ne esistono tante. Io penso a quella che attraversa l’Appennino dall’Oltrepò pavese fino alla linea della costa ligure.

Un’idea stramba, ma che mi frulla per la testa già da qualche tempo.

Gli unici cui poterla proporre senza ricevere reazioni scomposte sono gli altri tre compari di questa avventura, perché disagiati come me.

Infatti, rispondono con entusiasmo. Non avevo dubbi. ???

Qualche settimana prima iniziano i preparativi: acquisto delle mappe (molto ben fatte quelle dello Studio Cartografico Italiano di Genova), frequentazione compulsiva del web alla ricerca di informazioni, studio dell’altimetria e della logistica (orario del treno, della corriera, dove dormire).

Infine, decisione finale: da mare ai monti seguendo il percorso del sale, oppure il contrario?

Prevale la nota romantica: arrivare al mare, che per noi genovesi ha sempre il suo perché.

In sintesi: da Varzi (Pv) a Sori (Ge), distanza circa 70 km da percorrere in due giorni.

Che il viaggio abbia inizio

Atrio della stazione di Genova Brignole. Come scolaretti in gita scolastica, ci dirigiamo verso il treno regionale che da lì a poco sarebbe partito alla volta di Voghera.

In carrozzaaaa! (come il capotreno di Frankenstein Junior)

Saliamo garruli e prendiamo posto cercando di fare meno casino possibile, per non disturbare i vicini che cercano di recuperare qualche minuto di sonno dondolati dal vagone. Ma non ci riusciamo.

“Voghera. Stazione di Voghera…regionale delle ore…diretto a… allontanarsi dalla striscia gialla”.

Dobbiamo scendere e cambiare mezzo di locomozione per raggiungere Varzi, piccolo borgo medioevale a 30 km da Voghera.

Trovato il terminal delle corriere e accertata l’ora di partenza, ci concediamo un caffè.

L’atmosfera è umida, pioviggina. Speriamo bene…

Sulla corriera, complice il fatto che è praticamente vuota, non riuscendo a trattenere l’entusiasmo iniziamo a sparare belinate in serie (scemenze, per i lettori non genovesi).

Il campionato delle belinate si sarebbe però tenuto nel bosco, di notte, molte ore più tardi.

Varzi. Discesi dalla corriera, pipi-stop ed ennesimo caffè in un bar e poi…

Viaaa

Il sentiero è fin da subito ben segnalato e all’inizio corre di fianco al torrente Staffora sul versante destro e comincia con una bella salita, intervallando tratti di sterrato a tratti di roccia. Si raggiunge la località di Monteforte, dove troviamo una fonte: ci dissetiamo e rabbocchiamo le borracce.

Un tratto di strada asfaltata, assolutamente non trafficata, ci porta fino a Castellaro dove facciamo sosta per azzannare un panino imbottito con il famoso salame di Varzi. Che è meglio di una barretta, diciamocelo!

Si cammina, si fatica, si suda, felici di farlo.

Si chiacchiera del più e del meno, soprattutto di trail, di corsa e di montagna, superando i dislivelli.

Lo spettacolo intorno è davvero di una bellezza unica.

La natura domina incontrastata ogni angolo della nostra visuale. Non ci sono paesi, automobili, strade, persone; tutto è bosco, tutto è verde.

Rifugio sul Monte Chiappo

A un certo punto davanti a noi si staglia la vetta del Monte Chiappo: lassù, in cima, riusciamo a malapena a scorgere il rifugio.

Non si tratterà dell’ultima salita della giornata, ma sicuramente della più impegnativa, tutta su un sentiero terroso reso sconnesso dal passaggio di mucche e cavalli e scavato dalle mountain bike. Stiamo per raggiungere il punto più alto di tutta la Via del Sale, nel punto in cui s’incontrano tre regioni, Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna.

Statua di San Giuseppe sul Monte Chiappo (Fonte: Escursioniliguria.it)

Fidarsi degli amici

Su quest’ultima erta, si compie il mio destino.

Abbandonato qualche chilometro prima da quelli che credevo amici, intenti a rincorrersi come leprotti sul sentiero, rimango da solo. Ma non faccio una piega: del resto, le poche gare di trail che ho fatto (partenza a parte), le ho sempre condotte per la maggior parte in solitudine, tranne quando sono stato raggiunto dalle scope.

 

Entro in “modalità trattorino”, regolo il passo e vado avanti. Li raggiungo in cima al Chiappo e, mentre sotto la statua di San Giuseppe ci copriamo per il  fastidioso vento che soffia, faccio le mie sonore rimostranze.

Ridiventati amici come fanno i bambini quando litigano, ripartiamo.

Io, però, medito vendetta…

Che panorama! Che spettacolo!

L’unico inquinamento visivo è la bizzarra cupola bianca del centro di controllo aereo che fa da cappello al Monte Lesima.

Un paio di chilometri tutti in discesa, su un sentiero terroso, ci portano infine a Capanne di Cosola.

Si sono fatte le due e mezza del pomeriggio e ci fiondiamo nel ristorante per mangiare qualcosa e riposare i piedi e le spalle.

(Continua…)

C’era una volta una croce. Ora non c’è più. Nella notte di lunedì 29 ottobre 2018 è crollata a terra.

Se ne stava là, un pò arrugginita dal tempo che, inesorabilmente, passava. Circondata dai prati (per la verità un pò spelacchiati) e da tanti ripetitori di radio e tv.

Per più di 100 anni ha vegliato su Genova dagli 800 metri del Monte Fasce, sconfiggendo maltempo e tempeste di vento. Alta 14 metri e pesante 3.500 kg. 

C’era una volta un sentiero. Tranquilli, quello c’è ancora e sale in verticale “#FromSeatoSummit“.

Prospettiva verticale

L’anno scorso Sisport, la società sportiva che ha avuto pietà delle mie velleità e ha accettato di tesserarmi, ci ha organizzato il Genoa Night Vertical.

Chi lo conosce come il sottoscritto, il sentiero, lo percorre anche quando non c’è la gara.

Il percorso parte dalla spiaggia e, dopo un breve passaggio tra le case di Nervi diventa tutt’uno con il sentiero che sale in verticale.

Il sentiero non è proprio cattivo, ma scontroso sì. Però è molto bello. 

Solo in qualche tratto smette di tormentare il respiro e concede di riprendere fiato. Si fa pregare per quasi tutta la sua lunghezza, anche se non è tanto lungo.

…pant…pant… quasi in cima…

Quasi da ogni tratto del sentiero, se puntavi lo sguardo in alto, poco sotto l’azzurro del cielo o la cercavi tra le nuvole basse potevi scorgere lei, la croce: alta, alta e man mano più vicina.

Quello era l’arrivo della gara: che fosse quella organizzata o la tua personale contro il cronometro.

Quando percorrevo il sentiero, soprattutto quando ero poco allenato (cioè la mia condizione più o meno “standard”), mi chiedevo spesso dove fosse finito l’ossigeno; che cosa ne fosse stato dei miei quadricipiti; se mi fossi messo in ascolto, avrei certamente sentito tutti, ma proprio tutti, gli insulti dei miei polpacci.

Il segreto: tapparsi le orecchie e utilizzare contro la mente un’arma di distrazione efficace. Sembra facile…

La mente

Eh, cari miei: la mente è ingannatrice!

Lei sapeva del sentiero verticale. Sapeva che cosa era, cosa ne sarebbe stato dell’ossigeno, dei polmoni, delle mie povere zampette. Era cosciente che lei, solo lei, avrebbe permesso alla mia povera carcassa di bradipo di arrivare alla croce in alto e ai miei polmoni di cercare aria a bocca aperta una volta raggiunta.

Quel sentiero, la mente, lo conosceva da anni. Sapeva cosa faceva a chi si azzardava a metterci i piedi sopra.

Ma non potevo farci niente. Io, al massimo, avrei potuto provare a far tacere la mente mentre cercavo di rendere meno ripido il sentiero. Ero (ma sono ancora) un povero illuso che camminava il più velocemente che poteva, ansimava e si dimenava per andare in alto e arrivarci, possibilmente, con un minimo di dignità appiccicata alla maglietta.

Ma poi ci arrivavo, magari strisciando, quasi, ma ci arrivavo.

E salutavo la croce guardando il sentiero che mi osservava dal basso.

Il sentiero

Lui mi conosceva. Sapeva già, infatti, che sarei tornato ancora. Prima di quanto avessi potuto immaginare.

Non mi sembrava, non volevo crederci: ma era proprio così! E’ furbo, il sentiero: non lo fa vedere.

Sorrideva sotto l’aria burbera.

Il sentiero verticale mi ha lasciato dentro un marchio, una specie di virus: il desiderio di salirci nel minor tempo che mi è possibile (ma in realtà a lui non interessa un fico secco della mia velocità!); il desiderio di calpestarlo ancora per mettermi nuovamente alla prova. Di arrivare in cima.

Dove non troverò più ad attendermi, almeno per ora, la Croce del Fasce.

 

 

Estate 2017.

La sveglia è puntata alle 5:00. E’ l’ora in cui il mio corpo, da un po’ di tempo, decide autonomamente che non è necessario riposare oltre. Per un riflesso condizionato mi sveglio sempre qualche minuto prima. Allungo il braccio per cercare di anticiparne il suono, non svegliare Anna e possibilmente non far cadere gli oggetti presenti sul comodino (soprattutto libri e riviste di montagna o corsa).

Sono il re del disordine!

Poi tutto precipita

Quando non mi preparo la sera prima (capita molto spesso), cerco nelle scatole piene di indumenti che conservo nell’armadio, i pantaloni, gli slip, le maglie e le calze. Nel tempo ho affinato la tecnica della ricerca al buio, sempre per non svegliare la mia dolce metà (per essere sincero, qualche cosa si più di metà). Quindi la colazione, un salto in bagno per la rasatura e per liberarmi delle scorie.

Recupero lo zaino adatto al giretto che ho in mente con le borracce (quelle morbide, chiamate soft flask), controllo che ci siano almeno uno strato caldo e il guscio e una maglietta di ricambio più o meno pesante a seconda della stagione. Indosso le scarpe leggere (quelle che userò per camminare in montagna le porto in una borsa), afferro le chiavi di casa e della macchina e sono fuori (questa, però, è la mia condizione normale ed è un’altra storia).

Ma sta ancora albeggiando!

Carico tutto in macchina, metto in moto e…via verso le amate montagne!

Sopraelevata e poi autostrada.

Milionesimo passaggio sul Ponte Morandi.

La A10 si dipana sotto le ruote verso Savona: a sinistra il mare a destra il Parco del Beigua.

E’ solo il primo spettacolo della giornata.

Dopo nemmeno mezz’ora svolto verso Torino sulla A6 che un tempo, prima del suo raddoppio, aveva la sinistra nomea di “autostrada della morte” perché presentava zone di sorpasso alternate per senso di marcia.

Ad Altare sosta obbligata all’autogrill.

La ragazza dietro al banco, data l’ora, non mescola birra chiara e Seven-up (cit. “Autogrill”, F. Guccini) ma piuttosto prepara caffè e cappuccini per gli assonnati avventori, molti dei quali diretti sulle Marittime.

Io azzanno un pezzo di focaccia e sorseggio un caffè macchiato. Rapida occhiata ai quotidiani (eventuale pipi-stop) e di nuovo in autostrada.

Sempre la stessa reazione

Qualche chilometro dopo si scollina ed ecco il secondo, emozionante spettacolo della giornata: le Alpi. In una visione le abbraccio tutte: dalle Liguri alle Marittime fino al Re di Pietra, la cui sagoma inconfondibile si staglia all’orizzonte e si ingrandisce man mano che mi avvicino a Mondovì. Estate o inverno, è sempre lo stesso emozionato stupore.

Poi, come da antica abitudine esco a Mondovì e imbocco la strada provinciale in direzione Cuneo. Non c’è verso: anche se adesso, uscendo dopo Magliano Alpi è tutta autostrada fino a Cuneo, il mio gps interno mi fa andare “in automatico” per la strada che facevo con papà per andare a Castelmagno.

Cuneo, Borgo San Dalmazzo, Sant’Anna di Valdieri.

Stooop! Arrivato.

Verso la meta

In rapida sequenza: posteggio; cambio le scarpe; indosso lo zaino; riempio le borracce alla fontana di acqua freschissima, quasi gelida; prendo i miei insostituibili N&W Curve; mentre lo faccio partire controllo l’ora sul gps e imbocco il sentiero che attraverserà il Vallone della Meris.

E’ tanta l’energia, ma devo regolare il passo per non scoppiare subito.

Salgo. E mentre salgo, mi rendo conto che era tutto quello di cui avevo bisogno.

La mia mente è ora incredibilmente sgombra; un unico pensiero vaga sereno e in armonia col resto del corpo. Camminare seguendo il ritmo del mio respiro.

Rallento di fronte all’affanno, mi fermo qualche minuto dinanzi alla stanchezza, accelero per mettermi alla prova.

Dopo un’ora e mezza o poco più raggiungo il Lago Sottano della Sella e il Rifugio Livio Bianco.

Lago Sottano della Sella e Rifugio Livio Bianco

Terzo spettacolo della giornata. Mi riprometto di fermarmi al ritorno per mettere le ginocchia sotto il tavolo per pranzo o, più probabilmente, merenda (non voglio cancelli orari!) e per salutare Livio, il gestore.

Il sentiero si fa più ripido in alcuni tratti, il fiato a volte un po’ affannoso. Dopotutto sono partito dal livello del mare e mi trovo sopra i 2000 metri. Non sono granché allenato e soprattutto, le primavere iniziano a farsi sentire!

Libero di sognare

Qualche tornante ancora e, dopo una bellissima cascata, si apre lo spettacolo del Lago Soprano della Sella.

Lago Soprano della Sella

Solo. Sono solo di fronte a tanta bellezza.

Il primo pensiero è agli affetti che mi hanno lasciato.

Poi, chissà perché, fra tante possibili, mi vengono in mente le parole di una canzone di Vasco Rossi (cit. “I soliti”):

“Noi siamo liberi, liberi,

Liberi di volare

Noi siamo liberi, liberi

Liberi di sognare”

E’ proprio così che mi sento!