Sin dalla prima volta che ho avuto modo di provarli, ho avuto subito la sensazione che camminare in montagna con il supporto di questo tipo di bastoncino, per così dire “fuori dal gregge”, sarebbe stata tutta un’altra cosa.

Credetemi: questo articolo non ha intenti pubblicitari.

E’ stata la sperimentazione personale (dopo un periodo di scetticismo, misto a curiosità crescente), a convincermi della bontà e dell’affidabilità dei bastoncini N&WCurve.

Ben presto questi attrezzi sono diventati compagni insostituibili per ogni mia escursione.

Non voglio ripetermi: pertanto chi volesse maggiori info sui “pro” e “contro” dell’utilizzo dei bastoncini da trekking, può trovarle nella mia “personale” cassetta degli attrezzi, mentre qui potrà trovare maggiori info sui bastoncini che utilizzo attualmente.

L’equilibrio

Mi preme sottolineare però un aspetto, che non so se possa valere per tutti, ma che ho sperimentato personalmente. A lungo andare, abituatomi all’uso dei bastoncini (indipendentemente dal tipo) mi ha disabituato all’equilibrio che definirei “naturale”. O meglio: mi ha abituato ad un nuovo equilibrio che è quello dell’utilizzo di quattro arti portanti (gambe e braccia).

E quando, per un motivo qualsiasi, sono stato costretto a farne a meno, ho avuto la percezione di un minor senso dell’equilibrio.

Per questo, compatibilmente con il peso dello zaino e del tipo di terreno, cerco di alternare camminate “con” a quelle “senza” bastoncini.

Come utilizzare al meglio i bastoncini N&WCurve

Anzitutto voglio raccontarvi di come sia del tutto “naturale” adattarsi all’uso di questo tipo di bastoncini: perché rispetto ai tradizionali bastoncini da trekking si accordano alla biomeccanica del movimento e possono considerarsi un prolungamento artificiale degli arti superiori.

Come sapete, anche con quelli tradizionali una delle tecniche di progressione è quella del “passo alternato”. Si cammina muovendo alternativamente gambe e braccia: gamba destra e bastone sinistro, gamba sinistra e bastone destro.

Ci vuole un po’ di pratica, ma non è poi così difficile…

Orbene, nel passo alternato la differenza che più salta agli occhi è che le braccia sono più distese (flesse in modo naturale) e non piegate al gomito di circa 90°. Un modo di camminare che è del tutto uguale a quello che avremmo se non utilizzassimo i bastoncini: sciolto, biomeccanicamente “economico”, più rilassato e meno forzato.

Credetemi, se si percorrono tanti chilometri (come ad esempio in un thru-hike o in un ultratrail) l’efficacia del gesto fa sì che non si arrivi al termine con le spalle massacrate.

E l’efficacia è data dal fatto che si “spinge” con i grandi muscoli pettorali e dorsali, mantenendo le spalle relativamente “scariche”.

In salita avrete la sensazione di andare veramente a quattro zampe.

Le mani saranno proiettate sempre più avanti rispetto alla punta del bastone nel suo punto di appoggio, che è sempre tra i due piedi e in prossimità della proiezione a terra del baricentro del corpo.

Ma io non vi voglio vendere conoscenze tecniche che non ho: pertanto vi invito a vedere questi brevi video in cui Fulvio Chiocchetti, l’ideatore dei bastoncini, spiega tutto molto meglio di quanto potrei fare io:

 

Manutenzione dei bastoncini 

Infine due parole sulla manutenzione dei bastoncini (di qualunque tipo).

I bastoncini (specialmente quelli telescopici) vanno asciugati e puliti ad ogni fine escursione. Rimuovete perfettamente ogni traccia di polvere o fango facendo particolare attenzione agli snodi, da sempre il punto debole di questi attrezzi.

E voi li usate i bastoncini durante le vostre escursioni? Come vi trovate?

 

 

Quante volte ci siamo sentiti dire che dobbiamo apprezzare le piccole cose nella vita?

Ma anche io, come tanti, dimentico troppo spesso questo piccolo ma grande concetto!

Sì, la vita è una sola e dovrei (dovremmo), dedicare più tempo a quello che mi (ci) fa sentire davvero bene.

Io ad esempio, ma credo sia condizione ahimè comune, passo buona parte della giornata attaccato allo schermo di un portatile, tra le altre cose rispondendo alle molte email che intasano la mia casella di posta, magari tra una telefonata e l’altra.

Durante queste ore passate così, quando poi apro Facebook o magari Instagram mi soffermo a guardare con una (non) leggera invidia le immagini di quelle persone che sono là fuori, “per bricchi”, da soli. In me cresce sempre più una certa voglia di evadere.

La meta

Quante volte, attraversando la città verso levante ho notato la sua sagoma.

Quante volte ho visto foto scattate da amici che ne hanno fatto il loro terreno preferito di allenamento.

Ma io non c’ero mai stato.

Per pigrizia, forse. O per la comodità di raggiungere altri forti di Genova.

Ma non quel giorno. Per un giorno volevo che le cose andassero diversamente!

Le previsioni meteo non erano propriamente favorevoli, quel giorno. Prevedevano neve anche in città, ma io ero scettico.

Quindi mi sono messo al tavolo di lavoro come sempre, testa china e poca attenzione a quanto stava succedendo là fuori.

Ma dopo pranzo, mi accosto alla finestra e…sorpresa! Nevica davvero e fitto.

Targa sul frontale del forte

C’è la tempesta perfetta per… andare finalmente al Forte Richelieu!

Sono un lavoratore autonomo, lavoro prevalentemente a casa. Qualche volta questa condizione ha anche i suoi aspetti positivi: poter decidere all’improvviso di prendersi un pomeriggio di vacanza!

Una volta cambiato e indossate le scarpette da speed hiking, è come se fossi stato catapultato in un altro mondo.

Inizia l’avventura

Avvio il GPS sotto gli occhi stupiti di qualche rado passante (avrà fatto sicuramente la solita considerazione sul mio disagio mentale) e mi incammino verso la mia avventura!

Risalgo Corso Gastaldi mentre le auto prive di catene fanno fatica ad avanzare sullo strato di neve. Mi fermo sotto i portici per indossare i guanti perché ho già le mani intirizzite.

In Via San Martino il traffico è, se possibile, ancora più caotico, ma io avanzo leggero (si fa per dire) sulla neve non ancora calpestata, per non rischiare di scivolare.

Dopo qualche centinaio di metri, facendo lo slalom tra le auto incolonnate prendo Via di Chiappeto e qui iniziano i problemi: la primissima parte è in discesa ed è un’anticipazione di quello che troverò lungo la strada del ritorno. Non propriamente una passeggiata.

Crosa a me sconosciuta

Poi la mattonata innevata inizia a salire e la nevicata non accenna a smettere.

Verso l’ignoto: nel senso che io qui non ci sono mai passato nemmeno col sole.

Le nuvole sono basse, non si vede molto attorno. Io continuo a salire lungo quella che mi pare l’unica direzione possibile: copiando le impronte lasciate da qualche altro squinternato come me. Poi, ad un certo punto, le orme finiscono e rimango solo, immerso nel silenzio, in compagnia del mio respiro affannato e dei miei pensieri.

L’unico rumore è quello della neve che si rompe sotto il peso dei passi. Bellissimo!

Non sono solo

Un passo incerto, una roccia che non avevo intuito: scivolare è un attimo. Punto i bastoncini. Avanzo e mentre li sollevo per cercare un altro appoggio, mi accorgo di aver rotto il puntale di quello destro. E porca paletta!

Arrivo al Forte Richelieu

Così, adesso, mi trovo con un bastoncino che assomiglia a quello di Aigor. E mentre penso a come contattare Fulvio per farmi spedire le aste nuove, d’improvviso… Forte Richelieu Ululì.

Le nubi si erano un po’ diradate e adesso dalla sommità della collina potevo scorgere la città e potevo immaginare il rumore e il traffico congestionato per la neve.

Se ci ripenso che un’ora prima ero con gli occhi attaccati allo schermo del computer e adesso ero del tutto immerso nella natura, che bella sensazione!

Ero completamente assorto nei miei pensieri mentre cercavo di intuire una direzione per scendere, ma in realtà andando in senso opposto, che non mi ero accorto che c’era una persona dietro di me.

 

Mi volto stupito, ma contento di non essere solo.

Il giovanotto mi ha confessato di essere uscito per fare quattro passi sulla neve ma poi, avendomi visto salire verso il forte aveva deciso di raggiungermi. Altra piacevole sorpresa: era sardo come me!

Bene! Così adesso eravamo in due nel bosco, con la neve sopra le caviglie, senza avere un’idea della strada da seguire.

Volteggiare leggiadro, rischiando ad ogni passo

Abbiamo iniziato a scendere ad intuito. Abbiamo iniziato a chiacchierare, a parlare della nostra Isola e di quanto sia bella, soprattutto nell’interno. Poi, raggiunta la parte alta di Via Berghini è diventato tutto più semplice. La strada, dapprima sterrata, diventa cementata e quindi asfaltata.

Iniziamo a scendere stando attenti a camminare sulla neve non pestata per avere più presa. Seguiamo la strada asfaltata fino al Forte di Santa Tecla, quindi imbocchiamo una stradina stretta e ripida che, passando in mezzo ai palazzi, raggiunge l’ingresso dell’ospedale San Martino. La discesa è stata un vero incubo: a terra la neve marcia rendeva difficile l’equilibrio.

Le mani costantemente vicine al mancorrente (dove era presente). Praticamente ero più simile alla (molto) brutta copia di una étoile della Scala che ad una persona (più o meno) normale che scende una strada.

Ma, fortunatamente, sono (siamo) arrivati in fondo senza graffi.

Poi ci siamo salutati ed ho preso la strada di casa camminando per buona parte nella corsia protetta degli autobus, che era sgombra da neve.

La cosa importante

Pensandoci bene, al fondo, la cosa importante non è stata la meta.

Mi sono reso conto che tante volte, forse anche un po’ troppo spesso, non abbiamo più il tempo per fare ciò che ci piace davvero, per le cose belle, perché abbiamo troppe cose da fare, troppe cose a cui pensare!

Di avventure ce ne sono e ce ne sono molte: anche vicino a casa.

Basta solo avere la voglia di uscire e di andare ad esplorare!