Verso il mare

Discese: di ferrovia e viandanti

Giro quindi le spalle alla chiesa e inizio la discesa: mi sembra subito precipitosa, ripida, invitante.

A sinistra vedo il campo di calcio inaugurato negli anni ’70, che ha preso il posto del “Lagaccio”, il bacino idrico voluto da Andrea Doria per irrigare i giardini del Palazzo del Principe. L’acquedotto in muratura per collegare l’acqua al parco della sua umile dimora ? fu realizzato attorno al 1540.

Se per salire ho impiegato una decina di minuti circa, mi è venuto spontaneo pensare che avrei potuto impiegarne altrettanti per scendere a Principe. Conto sbagliato!

Infatti, mentre nel primo tratto il tracciato della cremagliera corre parallelo alla crêuza ma quasi subito scompare dietro le case colorate, il percorso pedonale invece segue un’altra traccia.

Salita Granarolo

Il primo tratto di discesa è caratterizzato da una striscia di mattoni rossi compressa tra due strisce di bitume gettato alla “belin di cane” sulle antiche pietre (scusatemi, ma non mi viene un’espressione che renda meglio l’idea ?)

Incrocio a destra Via della Chiassaiuola che proviene dall’abitato di Granarolo e mi porta verso il passo del Cardellino, indicato da una targa difficilmente leggibile.

Che mistero i nomi di queste viuzze!

Mi piace pensare che siano riferiti a utensili e aspetti della vita contadina che caratterizzava queste colline prima che fossero assalite dal cemento.

La crêuza riprende un po’ le sue caratteristiche mentre ai lati cancelli coperti di ruggine lasciano immaginare lo splendore antico di ville abbandonate o in rovina.

Genova da Salita Granarolo

Il panorama sulla città è superbo.

Nel tratto più abbandonato della discesa (o della salita, se preferite) si scorge il vecchio cancello che dava accesso alla Porta di Granarolo.

Prima del ritorno in città, una villa dal profilo rigoroso cattura la mia attenzione: è una villa del tardo ‘600 appartenuta ai Lomellini che nel 1895 fu acquistata dal Comune di Genova che l’ha resa sede della scuola media Nino Bixio.

Continuo a scendere e, attraversata Via Bari approdo a una nuova discesa.

Salita di San Rocco

Incontri…

Sulle prime non sembra un granché. Soprattutto se confrontata con il tratto appena percorso, punteggiato di ville, mura e apparizioni fugaci di gatti.

Nel primo tratto si incontra la chiesa di San Rocco di Principe.

San Rocco: il santo invocato nelle campagne contro le malattie del bestiame e le catastrofi naturali e come protettore degli animali.

Come a Camogli.

Altra evidenza delle caratteristiche “rurali” di questa parte di città qualche secolo fa.

Oltre la chiesa la situazione “precipita”, nel senso che la discesa acquista pendenza fino alla sorpresa di una nuova porta con la sua brava Vergine custode.

Poi l’infilata di tredici scalini che introduce dapprima a un altro precipizio di mattoni rossi e quindi, dopo una nuova apparizione dei binari, al rush finale.

Da qui la vista è scomposta su più piani: in primo piano il capolinea della Ferrovia; sullo sfondo gli yacht ormeggiati alla banchina dei Magazzini del Cotone; in mezzo gli edifici della Stazione Marittima e la Sopraelevata.

Quasi in fondo…

Un saluto al Miramare e al profilo della Lanterna, poi via verso casa passando per Strada Nuovissima e Strada Nuova…

 

(Fine)

 

 

 

 

Una vera rarità

Capolinea di Principe

Dopo aver terminato i saliscendi a levante, sono andato a scoprire quelli a ponente. Per farlo sono salito, per la prima volta, sulla Ferrovia Principe –Granarolo. 

Si tratta dell’unica linea tranviaria a cremagliera di Genova: una vecchia signora con qualche acciacco ma fiera e orgogliosa di essere sopravvissuta al progresso.

Fu concessa nel 1896 alla “Società Anonima Genovese per le ferrovie di Montagna” ? ? che aveva come obiettivo la valorizzazione dei terreni (un modo elegante per definire la lottizzazione) della ripida collina di Granarolo, spartiacque tra la città e la valle del torrente Polcevera.

La ferrovia fu realizzata tra il 1898 e il 1901 ed è una delle tranvie “a dentiera” più antiche d’Italia.

Si sviluppa per circa 1,1 km, con un dislivello di poco meno di 200 metri, una pendenza media di circa il 16% e una massima di quasi il 22%.

Perché non è una funicolare

La cremagliera

Non si tratta di una funicolare, anche se tutti la conoscono con questo nome.  E’, invece, una ferrovia che impiega una rotaia dentata (detta cremagliera) che corre parallela ai binari, in questo caso al centro.

I veicoli sono dotati di una o più ruote dentate (dette pignoni) che sono collegate al meccanismo di trazione oppure a un sistema di frenatura.

Si può così superare qualsiasi pendenza in sicurezza.

Oggi anche questa, come la Funicolare Zecca-Righi e quella di Sant’Anna fanno parte del parco AMT. Il capolinea di Principe è posto sopra le gallerie della stazione ferroviaria, a fianco del muro di contenimento dell’ex Grand Hotel Miramare.

Un altro pezzo di storia

Il “Grand Hotel Miramare & De La Ville” guardava la città da lassù, con le finestre delle sue duecento stanze suddivise in sette piani.

L’edificio fu fatto costruire dalla “Società Anonima di Alberghi Italo Svizzera” e ha l’estrosa impronta dell’architetto Gino Coppedè.

Fu inaugurato alla fine del 1908, in un’epoca in cui era verosimile pensare alla Riviera di Ponente come un luogo di villeggiatura altolocata. Mi piace immaginare che qui, oltre a star internazionali di Hollywood, importanti personaggi politici e rappresentanti del mondo culturale dell’epoca, abbiano soggiornato anche i facoltosi signori che poi si sarebbero imbarcati sui transatlantici verso le Americhe…

Per un “tuffo” nella storia di questo edificio, cliccate qui).

In carrozzaaaa!

No, non c’è nessuno che grida sul binario come nella scena in cui Frederick Frankenstin saluta sul binario la sua fidanzata Elizabeth (cit. Frankenstein Junior).

La vecchia signora

Salgo sull’unico vagoncino “old style” in servizio (costruito dalla Piaggio nel 1929) e mi guardo intorno: dapprima il posto di guida con i comandi a leva e le manopole metalliche. Poi osservo gli interni di legno stile vecchio West. Una meraviglia!

In realtà sarebbe possibile far svolgere il servizio anche a due vetture allo stesso tempo grazie alla presenza di uno scambio, posto poco oltre la stazione di Via Bari.

A bordo della vettura, è presente un vero e proprio macchinista, perché gli autisti, per poterla azionare, hanno bisogno di una abilitazione rilasciata direttamente dalle autorità ferroviarie.

Interni del vagoncino

La cremagliera è tornata in funzione nel 2013, tutta pimpante e scricchiolante a ogni curva e a ogni scossa, dopo un profondo restyling e consente agli abitanti di “scalare” la collina attraverso le sei fermate in cui si articola il tracciato.

Il vagoncino rosso arranca lento e apre panorami contrastanti: se mi volto indietro vedo il mare, ai lati la murata delle case popolari che hanno conquistato la collina negli anni del boom economico. Poi si apre verso il verde intenso delle colline sul cui crinale svettano i forti e le mura del ’600. Che dire? Uno spettacolo!

Capolinea a Granarolo

Alla fine appare la stazioncina a monte (in parziale ristrutturazione; per questo il vagoncino si ferma qualche metro prima) in stile chalet di montagna che, nonostante tutto, non sfigura nel paesaggio che lo circonda.

Più in alto svetta il campanile della chiesa dell’Assunta di Granarolo, che non visiterò perché il mio “piano di volo” prevede solo discese e non salite.

 

 

(Continua…)

 

 

Ultimo trampolino verso la città

Nuovamente alla stazione spaziale, cioè al capolinea del razzo rosso targato AMT (con le telecamere che ci sono, temo di essere segnalato per vagabondaggio ?).

La direzione è ancora quella verso Villa Quartara.

Passo di fronte alle salite Cavallo e Bachernia senza più imboccarle e arrivo all’incrocio con Via Domenico Chiodo.

E’ un incrocio pericoloso tanto se si è a piedi quanto, soprattutto, se si è in auto o moto. Mi dà sempre un po’ di apprensione.

Superatolo, proseguo lungo la discesa alberata fino al convento dei Cappuccini dove, sulla destra, mi imbuco in Salita Superiore San Rocchino.

Salita Superiore San Rocchino

Imbocco di Salita Superiore San Rocchino

Sappiatelo: ci vogliono gambe forti perché non è una discesa qualunque.

All’inizio presenta le caratteristiche canoniche che ormai avete imparato a riconoscere: uno stretto corridoio di mattoni rossi con il porto sullo sfondo.

La pavimentazione, però, rispetto a quella incontrata nel mio vagabondare, si presenta differente: si biforca in pari uguali.

A ricordarci che non si tratta di una discesa con la quale bisogna scherzare (tipo la Streif di Kitzbühel), il corrimano è presente su entrambi i lati.

Ad un certo punto, sulla sinistra, appare improvvisamente un ospizio per anziani: Villa San Pietro, con la sua Madonnetta sopra la porta.

Il primo pensiero che mi è venuto è stato per gli ospiti: li hanno in qualche modo “catafottuti” (cit. Camilleri) fin qui dove, a causa delle ingiurie degli anni, non hanno più la possibilità di fuggire né in salita né in discesa. 

La pavimentazione, dopo alcuni tornanti, presenta una serie numerosa di scalini, fino a uno slargo sulla strada, dove appaiono le prime auto.

Incrocio con Vico Barnabiti

Siamo all’incrocio con Vico Barnabiti, annunciato da una strana torre con edicola votiva inclusa, che dopo una prima parte piuttosto anonima avvolge interamente il perimetro dell’Ospedale Evangelico fino a sbucare in Corso Solferino proprio di fronte alla Chiesa di San Bartolomeo degli Armeni.

Proseguendo dritti per concludere la discesa di Salita Superiore San Rocchino, arriviamo sempre in Corso Solferino, di fronte a un chiosco-bar.

Salita Inferiore San Rocchino

Attraversata la strada, per raggiungere la parte inferiore della crêuza, occorre passare in Passo dell’Acquidotto (con la “i”, mi raccomando).

Qui si possono scorgere le tracce dell’Acquedotto Storico Genovese che dalla Presa di Bargagli arrivava fino al porto e alla Ripa (il Guidebook del percorso fino a Via Burlando lo trovate qui).

Le scorgiamo nei lastroni di pietra di Luserna che costituiscono la pavimentazione; un altro tratto di acquedotto è, ad esempio, il marciapiede di Corso Solferino.

Mi immagino quanto bella dovesse essere questa parte dell’odierna Castelletto fino a metà del XIX secolo: campagna, poche casupole rurali, boschi, ruscelli (poi tombinati, con le conseguenze che, ahimè, conosciamo!).

Scendendo per la crêuza non si può fare a meno di riflettere sulle sovrapposizioni architettoniche, sociali e culturali che hanno dato vita a questa parte di città. Infatti, a poca distanza troviamo: la Sinagoga, l’Ospedale Evangelico, la Chiesa di San Bartolomeo degli Armeni, case popolari e dimore più lussuose.

Salita Inferiore San Rocchino è un volo che conduce fino al centro più trafficato della città, pur rimanendone totalmente al di fuori: è questa la sua “magia”.

Maldestro tentativo di selfie

Sulla destra ho incontrato un portone verde scuro con i pomelli così lucidi che i viandanti possono vedersi riflessi. Ho colto al volo l’occasione per farmi una specie di selfie (sicuramente voi ne farete di migliori!). 

Subito dopo, la crêuza introduce i curiosi in un mondo di cortili segreti da cui è possibile scorgere particolari sorprendenti!

In un battibaleno si arriva all’innesto con Passo Palestro e il rush finale ci conduce all’intersezione tra Via Assarotti e Piazza Marsala.

 

(Continua…)

 

 

Un punto di osservazione diverso

Ritornato su al Righi con l’ennesimo viaggio sul razzo rosso, questa volta decido di affacciarmi dall’altro lato della strada. E’ quello che getta lo sguardo verso la Val Bisagno: sulla città dei morti più importante di Genova che è anche uno dei cimiteri monumentali più importanti d’Europa; sul torrente Bisagno, dall’aspetto un po’ lugubre; sullo stadio Luigi Ferraris ❤️? (nessuno è perfetto ?); sull’orrenda ma affascinante modernità del “Biscione”.

Il “Castel Gandolfo” genovese

Mi tengo sulla destra, facendo attenzione a non essere “stirato senza appretto” dalle rare automobili che passano.

Ridiscendo per qualche centinaio di metri Via Mura delle Chiappe e, prima che inizino le Mura di Sant’Erasmo, la prima via di fuga verso il centro città mi è offerta da una crêuza sulla destra.

Villa Quartara e imbocco di Salita Cavallo

Facciata bianca e nera ormai sbiadita, torre a dominare la valle, Villa Quartara è una delle più belle e dimenticate nobili dimore del Righi. Il cardinale Giuseppe Siri ne aveva fatto la sua reggia, il suo ritiro. Dopo Siri la villa fu ancora frequentata di tanto in tanto dal cardinale Giovanni Canestri, Tettamanzi invece la snobbò.

Non so se gli altri arcivescovi di Genova l’abbiano frequentata, ma non mi sembra poi così interessante saperlo.

Macabri pensieri si affacciano

Imbocco quindi Salita Emanuele Cavallo, che forse qualcuno di voi (io no, non lo sapevo proprio) la conosce con il macabro “nickname” di “Montata dell’Agonia” perché da qui salivano i condannati a morte (per impiccagione) diretti alla forca posizionata sulle mura del Castellaccio. .

La funicolare non c’era ancora… quindi si andava a piedi.

Belin, che sensibilità i legislatori genovesi del tempo: forca con vista panoramica!

La crêuza ha tutti gli elementi “canonici”: pendenza, incastro di mattoni rossi, ciottoli ai lati, cocci di bottiglia sui muri perimetrali, edicole votive…

Scendo, stando attento a non imbelinarmi scivolando sui mattoni viscidi (sono andato sabato e durante il weekend è piovuto), fino all’incrocio con Salita Accinelli.

Il macabro incrocio

In questo punto i Confratelli della Misericordia, che portavano a spalle i cadaveri dei giustiziati, proseguivano a destra lungo quella che veniva chiamata “Salita della Morte”. Il corteo che saliva non doveva, nella parte superiore, incrociare quello in discesa: una sorta di “senso unico alternato”.

Però, per quanto macabri, i nickname delle due crêuze erano logici e pertinenti.

Al bivio, qualsiasi scelta va bene: entrambe planano in via Lorenzo Costa prima di proseguire verso la città. Io le ho percorse tutte e due in tempi diversi: Salita Cavallo è più ripida, mentre Salita Accinelli è meno pendente.

Salita Bachernia

La seconda via di fuga percorrendo le Mura di Sant’Erasmo, oltre Villa Quartara, è rappresentata dalla sorprendente Salita Bachernia.

Procede per gradi, in maniera sinuosa e mai uguale. I mattoni si alternano alle pietre e agli scalini; la viabilità urbana (una per tutte: via Domenico Chiodo) incrocia spesso le crêuze che scendono a (o salgono da) Castelletto, imponendo improvvisi cambi di rotta.

Niente male, eh?

Prima di proseguire la discesa vale senz’altro la pena di fermarsi qui a contemplare il panorama. Il tratto seguente, anticipato da alcuni gradini è, a suo modo, affascinante: ancora una volta i tratti “canonici” delle crêuze sono rispettati e il disturbo delle costruzioni più moderne non è così fastidioso come in altre discese (o salite). Con mia “viva e vibrante soddisfazione” (cit. Crozza/Napolitano) mi sono sentito un po’ più isolato e lontano dalla frenetica vita urbana.

 

Chiesa di San Paolo

Ad un tratto, con un vero e proprio colpo di scena, mi è apparsa la Chiesa di San Paolo. E’ curiosa sia per le dimensioni, incastonata com’è in un dedalo di strade strette e slarghi privi di brio, sia per la colorazione della facciata a bande rosse e bianche (chissà poi perché?).

Riprendo la discesa verso la parte inferiore della crêuza, che è ripida, veloce, insidiosa.

Piazza Sant’Anna

Percorro gli ultimi metri con circospezione e, alla fine di questa sorta di toboga, mi ritrovo in Piazza Sant’Anna, con la sua chiesa cinquecentesca, la farmacia gestita dai frati carmelitani (bottega storica del Comune di Genova) e una biblioteca che, senza essere così monumentale, tuttavia ci riporta istantaneamente al fascino di quella del “Nome della Rosa”.

 

(Continua…)

 

 

Perché Righi?

Confesso: mi era completamente ignoto.

Sarà perché ho sempre conosciuto la località con questo nome.

Poi, mentre attendevo l’arrivo delle cabine della funicolare, mi sono soffermato a leggere i pannelli che spiegano la sua storia.

E tutto è diventato più chiaro.

Dunque, correva l’anno 1871 quando a Lucerna, in Svizzera, Franz Josef Bucher (chissà se i cavalli nitrivano quando si faceva il suo nome? ?) inaugurava la cremagliera di Vitznau, l’impianto che collegava la città al monte Rigi e all’albergo che questo imprenditore svizzero aveva da poco costruito.

Una ventina di anni dopo Bucher arrivò in visita nella nostra città, salì sulla collina del Castellaccio ed ebbe l’illuminazione: perché non costruire anche a Genova un impianto simile a quello di Vitznau, che la collegasse alla alture?

La risposta pare sia stata: “SI…PUO’…FAREEE!”. ??

Quindi nel 1897 il Comune di Genova inaugurava la sua prima funicolare, che collegava Largo Zecca (dove alla fine dell’800 si fabbricavano le palanche) alla cima di un monte che, proprio per la somiglianza con il Rigi svizzero, venne ribattezzato “Righi”, che altro non è se non la pronuncia tedesca di Rigi.

Prima parte della discesa

Per comodità, perché è subito a destra dell’uscita della funicolare, inizio da Salita Superiore San Simone.

L’ho sempre intravista, perché quando decido di fare allenamento da queste parti, posteggio in Largo Caproni: mi ha sempre incuriosito incutendomi però un certo timore.

Adesso è giunta l’ora di buttare il cuore oltre l’ostacolo e fare come gli anatroccoli al primo volo: buttarsi giù senza pensarci troppo.

All’inizio della discesa

Pochi passi e subito la mia attenzione è colpita da un intarsio di mattonelle blu che introduce ad una discesa ripidissima (attenzione, perché mattoni e ciottoli, dopo un acquazzone o con l’umidità dovuta al vento di mare sono scivolosissimi e il rischio di atterrare bruscamente col fondoschiena è molto più che reale!).

Alzo lo sguardo e vedo il porto: apparentemente è vicino, in realtà separato da un numero indefinito di mattoni rossi incastrati fra loro.

 

C’era una volta l’Hotel Righi

Mi volto dal lato opposto e noto una cupola a dir poco originale: è quella dell’ex “Hotel Ristorante Righi”, prestigioso albergo di fine ‘800. Doveva essere un posto presumibilmente molto à la page, frequentato da gente chic. Oggi è un’esclusiva dimora privata.

Inizia la discesa: porticine di legno scolorito o di metallo arrugginito fanno da argine a mondi disabitati.

Seconda parte della discesa

Arrivo in Via Marco Preve, la supero e la discesa prosegue ancora più ripida, sinuosa, suggestiva fino ad arrivare alla stazione di San Nicola e all’omonima chiesa.

Torno verso levante su Corso Firenze per cercare la parte inferiore di Salita San Simone. La parte alta di Salita San Nicolò la rimando ad un altro volo…

La creuza dark

Poche decine di metri e, sulla destra, incrocio la crêuza che cerco.

E’ la più “dark” tra quelle che conosco: uno scivolo di mattoni proteso verso un edificio spettrale con tanto di torre merlata e finestra con grate.

La mattonata s’innesta in Salita San Nicolò e prosegue tra ruderi, inferriate, arcate che non conducono da nessuna parte, fino all’Albergo dei Poveri: quello che era il “santuario dei misci” (=senza un soldo, in questo caso anche senza fissa dimora) più grande del mondo.

Poco prima, sulla destra, un’edicola che raffigura l’apparizione delle Madonna della Guardia e sulla sinistra una sorta di castelletto merlato.

Prendendo sulla sinistra Via Carlo Pastorino e, successivamente, scendendo in Corso Carbonara sul marciapiede di sinistra, si raggiunge il cancello di una villa e ci appare il varco di Salita San Bartolomeo del Carmine.

Il quartiere del Carmine

Erano anni che non passavo più di qui.

La percorrevo quando, dopo aver trovato parcheggio “free” (allora le zone blu erano relativamente poche), ritornavo verso il centro cittadino.

Piazzetta e Chiesa

Sul filo dei ricordi non l’ho percorsa per intero, ma mi sono fatto rapire dal varco che si apre sulla sinistra e che introduce ad un gioiello poco conosciuto da “locals” e “foresti”: piazzetta dell’Olivella e Chiesa di San Bartolomeo.

Piazzetta della Giuggiola

Sempre più curioso e affascinato ho proseguito verso Vico della Giuggiola, percorrendolo tutto per arrivare alla piazzetta omonima: altra meraviglia del Carmine!

Non si può non rimanere a bocca aperta davanti al trionfo di arcate, scalette, anfratti misteriosi e pavimentazione di un tempo che fu.

Poi sono sceso verso la città passando in Vico del Cioccolatte, sino a lambire Vico della Fragola e Vico dello Zucchero: la parte dolce del quartiere.

Fuori dal Carmine, incanto e dolcezza svaniscono istantaneamente: il frastuono del traffico è la colonna sonora che mi spinge a riprendere la funicolare per fuggire verso un’altra discesa.

 

(Continua…)

 

 

Percorso zen

Domenica ho deciso di andare per crêuze (o crose) e funicolari, lasciando libero spazio alla curiosità, scattando ogni tanto una foto e facendo ogni volta un passettino avanti nella conoscenza di Genova.

Un percorso quasi zen. Una sorta di terapia rigenerante.

E ho deciso di farlo in un modo originale (almeno per me, che mi diverto soprattutto quando la strada sale, magari ripida): camminando esclusivamente in discesa, spalle ai monti e volto al mare, con il porto e la Lanterna in lontananza.

Le crêuze

Salita Superiore San Simone

Eh, belìn! Adesso si fa dura: come si racconta a un “foresto” che cosa sono le crêuze?

La spiegazione “ufficiale” direbbe che si tratta di antiche vie in salita che collegano il centro storico genovese alla parte alta della città, raggiungendo infine le mura.

Molto spesso presentano mattoni rossi al centro (pensate per i viandanti) e ciottoli ai lati (per offrire maggiore resistenza agli zoccoli degli animali da soma).

Corrono attraverso muri in pietra che, sormontati da cocci aguzzi di bottiglia, delimitano le proprietà e custodiscono gelosamente qualsiasi cosa esista o accada oltre il loro profilo.

Scorcio di Salita Superiore San Simone

“Di monte” e “di mare”

Se le percorriamo in salita, proiettati verso nuovi universi, diventano “di monte”; mentre se le usiamo a mo’ di trampolino per arrivare al filo di costa diventano “di mare”. Queste ultime sono diventate famose grazie a Faber.

In un passato più o meno lontano furono arterie logistiche di importanza notevole: servirono soprattutto per traghettare uomini e merci verso (e da) la pianura padana. Ma le crêuze sono soprattutto pendenza, aria.

Il ritmo costante in salita (per non scoppiare dopo pochi metri) e quello di un passo leggero in discesa (le ginocchia ringrazieranno).

Sono:

  • gradini, tanti, a non finire.
  • sole a picco e un muro che fa ombra.
  • silenzio, luce.

Arrivare in cima è sempre una conquista; ma anche arrivare in fondo senza ruzzolare!

Quindi avrete capito che c’è un solo modo di raccontare una crêuza e le emozioni che sprigiona: percorrendola passo dopo passo.

In partenza verso orizzonti sconosciuti… Ma il pilota è tranquillo.

La funicolare Zecca-Righi

Collega il centro città con il Parco delle Mura. Si sale con pendenze notevoli (media, circa il 20%; massima, circa il 35%) lungo strette gallerie: un vero e proprio viaggio iniziatico verso dimensioni differenti.

Cabine rosse. Le porte si aprono e…”Welcome on board!”

Si parte. Sembra di stare su un razzo: “Houston! Houston!…”

No, non ci sono problemi (almeno questa volta, benché sovente vada in tilt).

Le gallerie sono scavate nella roccia: lo spazio tra le cabine e le pareti è così poco, che al passaggio si potrebbe sfregare un fiammifero e accenderlo istantaneamente.

Salendo la prima fermata porta il nome di un santo: Nicola, che come primo miracolo sdoppia i binari per consentire l’incrocio delle cabine. Non male!

Poi, giardini appesi di rose, biancheria stesa e limoni.

Dopo circa un quarto d’ora si raggiunge la stazione a monte, al Righi, affacciata su uno slargo dedicato a Giorgio Caproni.

E a chi se non a lui che, proprio perché “foresto” (era di Livorno), è stato affascinato dalla verticalità della mia bellissima città. Per gli abitanti, invece, la verticalità è sempre stata una condizione necessaria.

Le frecce dicono che da qui partono i sentieri per i forti che in epoche passate hanno difeso la Superba (per raggiungerli quasi tutti potete scaricare, nella sezione “Intorno a Genova”, il Guidebook n° 2).

Ora non mi resta che decidere quale crêuza imboccare per scendere e… non c’è che l’imbarazzo della scelta!

(Continua…)

 

 

Attenzione! Può creare dipendenza

Per chi come me va per bricchi (ma anche per i più sedentari), c’è un alimento che può essere in diversi momenti della giornata colazione (magari pucciata nel cappuccino o a rinforzo di un espresso), pranzo (liscia o in una delle sue varianti), merenda/spuntino/aperitivo (magari con salame e vino bianco in qualche locale dell’entroterra): è la FOCACCIA!

Ha sempre il suo perché

➡️ Con gli “occhi” detti anche “ombelichi”, “ombrisalli” in genovese, dove si raccolgono l’olio EVO e il sale della spennellata data prima dell’ultima lievitazione;

➡️  DEVE essere gustata “a rovescio” (rispetto a quanto vedo fare da quasi tutti): appoggiando, cioè, la parte con gli “ombrisalli” sulla lingua per lasciarsi accarezzare le papille gustative;

➡️ Indissolubilmente legata a Genova (infatti la sentiamo nostra) anche se, vi assicuro, sarebbe imperdonabile non assaporare anche le sue varianti, presenti in tutta la Liguria;

➡️  Che oltre che “a peso”, può essere acquistata secondo altre “unità di misura” più autenticamente locali:

  • sleppa (o slerfa) (che equivale a 150-200 g);
  • strisce (misura equivalente circa a 40-60 g);
  • ruota (in molti forni dell’entroterra savonese i testi di cottura erano e sono circolari di circa 30-40 cm di diametro, pertanto all’acquisto si può richiedere una ruota di focaccia o mezza ruota o un quartino o altra frazione).

(Photo credits: www.priano.info)

Focaccia di Voltri

Se avete intenzione di percorrere l’itinerario descritto nel Guidebook n° 3 nella zona del Beigua (Voltri-Monte Reixa)  è d’obbligo fermarsi a Voltri per gustare la variante locale della focaccia.

Dire focaccia e dire “focaccia di Voltri” significa parlare di due cose simili ma completamente differenti, pur contenendo la focaccia di Voltri gli stessi ingredienti della focaccia genovese classica. Quello che cambia sono le proporzioni, l’idratazione e la consistenza della pasta, ma soprattutto la tecnica di infornatura, azione fondamentale al fine di consentire la perfetta riuscita di questa particolare tipologia di focaccia.

Quello che contraddistingue la focaccia di Voltri è però il fatto che, una volta terminata la lievitazione, l’impasto va inserito in teglia e la parte superiore della focaccia e la teglia sono cosparse di farina di mais (la polenta, per intenderci).

Questa focaccia è sottile e croccante all’esterno ma al tempo stesso soffice al suo interno: slurp! ??

Consiglio finale ai non genovesi

Infine, un consiglio spassionato ai “foresti”.

Noi che abitiamo a Genova abbiamo un carattere difficile, teniamo molto alle nostre cose, siamo gelosi e orgogliosi: per questo, non chiamatela mai e poi mai “pizza bianca”!