Renèuzzi: le rovine…
Alternando tratti di discesa e tratti in falsopiano, dopo qualche decina di minuti arriviamo a Renèuzzi (1.078 m), l’ultimo dei Villaggi di Pietra, abbandonato definitivamente nel 1961.
Entrando nell’abitato, sulla sinistra si trova il minuscolo cimitero. Sulla destra, quello che rimane in piedi dell’Oratorio di San Bernardo Abate con i caratteristico campanile a vela dal quale sono state rimosse le campane, che non dovevano essere tanto grandi.
Dopo aver aperto il cancello arrugginito, entriamo: il cimitero non ospita che poche tombe circondate dalle erbacce e senza più segni di riconoscimento dei defunti. Ci dobbiamo avvicinare molto per leggere le iscrizioni e scoprire che, ad eccezione di una, sono tutte molto datate.
Ma vicino all’ingresso ce n’è una più grande e recente. Ha una bizzarra forma a casetta e appare sproporzionata rispetto alle dimensioni del cimitero. Reca la lapide con foto di Davide Bellomo, del quale parlerò più avanti.
Usciti dal cimitero, mentre Giuliano prosegue l’esplorazione dell’abitato io sono incuriosito, invece, dall’Oratorio. Immagino che Renèuzzi, per avere un luogo di culto di queste dimensioni, nell’800 dovesse essere uno dei villaggi più grandi di questo versante della Val Borbera.
L’Oratorio, pur essendo diroccato, si rivelerà essere l’edificio meglio conservato del villaggio: oltre al citato campanile anche un altare dipinto.
Delle case non rimangono che i muri perimetrali. La più curiosa che osserviamo è posta all’ingresso opposto rispetto a quello dal quale siamo arrivati. Ha i muri arrotondati, forse per facilitare il passaggio di carri o slitte trainati dagli animali (buoi o muli).
…l’isolamento e l’abbandono…
Dunque, siamo nel 1961. L’Italia corre verso il boom economico, le città brulicano di vita e nuovi quartieri spuntano ovunque: “…la dove c’era l’erba…” ??. Per un’Italia che cresce, un’altra fa fatica, arranca. La montagna si spopola e invecchia: gli anziani e i pochissimi giovani rimasti salutano ogni giorno qualcuno che se ne va, le porte si chiudono e nella maggior parte dei casi non saranno mai più riaperte.
Sono anni spietati per i paesi isolati come Renèuzzi.
Niente acqua, niente elettricità, niente terra e pochi pascoli. Mentre le città diventano più grandi e moderne, sulle montagne c’è ancora chi vive senza lampadina e rubinetto: estremi del boom e di una modernizzazione incompleta.
Ma il paese non è morto da solo, agonizzando lentamente tra partenze e vecchiaie.
No, questa volta si porta con sé due vite e una storia d’amore e follia.
…e un omicidio passionale
In quell’estate di cinquantanove anni fa, nel paese non è rimasto che Davide Bellomo che all’epoca aveva 31 anni. Davide si era innamorato di Maria Franco, ventenne di Ferrazza, il villaggio che si incontra prima provenendo da Vegni.
Maria sembrava non essere insensibile alle attenzioni di Davide. Tuttavia i due erano cugini e la famiglia di lei, una delle ultime rimaste a Ferrazza, era contraria alla relazione per via della stretta parentela.
Un giorno di fine estate, Maria comunicò a Davide che se ne sarebbe andata con la famiglia in un altro paese della provincia di Genova, in cerca di un lavoro e di una vita migliore.
Alla notizia Davide andò definitivamente “fuori di melone”; peraltro, date le condizioni ambientali, non me lo immagino tanto “in bolla”. Perciò, dopo aver visto partire gli amici di infanzia e morire gli anziani realizzò, drammaticamente, che sarebbe rimasto anche senza di lei.
Non conosceva il mondo al di fuori del suo microcosmo: per lui esistevano solo Renèuzzi, il lavoro (forse, più realisticamente, la fatica) e Maria.
Nel suo delirio, passò in breve tempo dalle minacce ai fatti e la uccise sparandole nove colpi con una vecchia pistola.
Adesso era rimasto definitivamente solo con il suo rimorso.
Una colpa insormontabile che Davide mise a tacere sparandosi con la stessa pistola con cui uccise la ragazza, presumibilmente lo stesso giorno: la data della morte indicata nelle tombe di Davide e Maria è la stessa (22 settembre 1961).
“Papà e mamma dolenti” è la pietosa dedica sulla tomba.
Questa, in estrema sintesi, la storia di Davide e Maria, nati nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
Epilogo
Girare tra le rovine di Renèuzzi, così come di quelle di Casoni di Vegni, porta a riflettere sulla solitudine, sulla fatica e sulla miseria. Su queste vite il cui ritmo era scandito dalla natura, che non era per niente amica.
Scoprire questi villaggi, nonostante mi fossi documentato un minimo e quindi immaginassi cosa avrei trovato, mi ha regalato emozioni particolari.
Vi consiglio senza il minimo dubbio questa escursione: non particolarmente difficoltosa ma sicuramente affascinante.
La Valle dei Campassi merita ulteriori visite: devo soddisfare ancora altre curiosità…
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