Ricordate il famosissimo romanzo di Umberto Eco?
“Il nome della rosa” è racchiuso tra le mura di un’abbazia.
I sette giorni che compongono il manoscritto creato dalla mente di Umberto Eco e narrato dalla voce di un ormai anziano Adso da Melk (al tempo dei fatti narrati giovane novizio benedettino), si susseguono alla fine di novembre 1327 (quindi in pieno periodo medioevale) tra le fredde mura di un luogo buio e misterioso, coperto dalla nebbia e scosso dal vento, popolato da un diabolico assassino che sembra seguire alcuni versetti dell’Apocalisse che annunciano i segni che precedono l’Anticristo.
L’abbazia descritta da Adso non è mai esistita.
Il manoscritto da cui Eco fittiziamente trae ispirazione per “Il nome della rosa”, non indica con precisione dove essa sia collocata, anche se “le congetture permettono di disegnare una zona imprecisa, con ragionevoli probabilità che il luogo sorgesse lungo il dorsale appenninico, tra Piemonte e Liguria.”
Adso e il suo maestro Guglielmo da Baskerville, partirono “seguendo la linea montana in direzione dei cammini di San Giacomo” – è scritto nell’incipit – per approdare molto probabilmente nei dintorni di Genova.
Adso ricorda così l’arrivo all’abbazia: “…Il mattino del nostro arrivo, quando già eravamo tra i monti, a certi tornanti, era ancora possibile scorgere, a non più di dieci miglia e forse meno, il mare…”.
Secondo alcuni, la descrizione potrebbe forse coincidere con il Monte Tobbio (1.092 m.) posto al centro del Parco naturale delle Capanne di Marcarolo e non distante dalla Tappa n° 23 dell’Alta Via dei Monti Liguri.
Infatti il mare, in linea d’aria, dista circa sedici chilometri, cioè “dieci miglia o forse meno”.
E nessun altro punto, lungo il crinale appenninico che divide Liguria e Piemonte, è così vicino al mare. Elementare, Adso?