C’era una volta una croce. Ora non c’è più. Nella notte di lunedì 29 ottobre 2018 è crollata a terra.
Se ne stava là, un pò arrugginita dal tempo che, inesorabilmente, passava. Circondata dai prati (per la verità un pò spelacchiati) e da tanti ripetitori di radio e tv.
Per più di 100 anni ha vegliato su Genova dagli 800 metri del Monte Fasce, sconfiggendo maltempo e tempeste di vento. Alta 14 metri e pesante 3.500 kg.
C’era una volta un sentiero. Tranquilli, quello c’è ancora e sale in verticale “#FromSeatoSummit“.
Prospettiva verticale
L’anno scorso Sisport, la società sportiva che ha avuto pietà delle mie velleità e ha accettato di tesserarmi, ci ha organizzato il Genoa Night Vertical.
Chi lo conosce come il sottoscritto, il sentiero, lo percorre anche quando non c’è la gara.
Il percorso parte dalla spiaggia e, dopo un breve passaggio tra le case di Nervi diventa tutt’uno con il sentiero che sale in verticale.
Il sentiero non è proprio cattivo, ma scontroso sì. Però è molto bello.
Solo in qualche tratto smette di tormentare il respiro e concede di riprendere fiato. Si fa pregare per quasi tutta la sua lunghezza, anche se non è tanto lungo.
Quasi da ogni tratto del sentiero, se puntavi lo sguardo in alto, poco sotto l’azzurro del cielo o la cercavi tra le nuvole basse potevi scorgere lei, la croce: alta, alta e man mano più vicina.
Quello era l’arrivo della gara: che fosse quella organizzata o la tua personale contro il cronometro.
Quando percorrevo il sentiero, soprattutto quando ero poco allenato (cioè la mia condizione più o meno “standard”), mi chiedevo spesso dove fosse finito l’ossigeno; che cosa ne fosse stato dei miei quadricipiti; se mi fossi messo in ascolto, avrei certamente sentito tutti, ma proprio tutti, gli insulti dei miei polpacci.
Il segreto: tapparsi le orecchie e utilizzare contro la mente un’arma di distrazione efficace. Sembra facile…
La mente
Eh, cari miei: la mente è ingannatrice!
Lei sapeva del sentiero verticale. Sapeva che cosa era, cosa ne sarebbe stato dell’ossigeno, dei polmoni, delle mie povere zampette. Era cosciente che lei, solo lei, avrebbe permesso alla mia povera carcassa di bradipo di arrivare alla croce in alto e ai miei polmoni di cercare aria a bocca aperta una volta raggiunta.
Quel sentiero, la mente, lo conosceva da anni. Sapeva cosa faceva a chi si azzardava a metterci i piedi sopra.
Ma non potevo farci niente. Io, al massimo, avrei potuto provare a far tacere la mente mentre cercavo di rendere meno ripido il sentiero. Ero (ma sono ancora) un povero illuso che camminava il più velocemente che poteva, ansimava e si dimenava per andare in alto e arrivarci, possibilmente, con un minimo di dignità appiccicata alla maglietta.
Ma poi ci arrivavo, magari strisciando, quasi, ma ci arrivavo.
E salutavo la croce guardando il sentiero che mi osservava dal basso.
Il sentiero
Lui mi conosceva. Sapeva già, infatti, che sarei tornato ancora. Prima di quanto avessi potuto immaginare.
Non mi sembrava, non volevo crederci: ma era proprio così! E’ furbo, il sentiero: non lo fa vedere.
Sorrideva sotto l’aria burbera.
Il sentiero verticale mi ha lasciato dentro un marchio, una specie di virus: il desiderio di salirci nel minor tempo che mi è possibile (ma in realtà a lui non interessa un fico secco della mia velocità!); il desiderio di calpestarlo ancora per mettermi nuovamente alla prova. Di arrivare in cima.
Dove non troverò più ad attendermi, almeno per ora, la Croce del Fasce.