In queste pagine non voglio dare consigli o scrivere recensioni di materiali e attrezzature, ma condividere informazioni ed esperienze legate all’escursionismo (veloce o meno) in generale. 

Prima qualche definizione…

Spesso sentiamo o utilizziamo termini che consideriamo sinonimi per descrivere le attività outdoor: escursionismo, hiking, trekking. Cercherò ora di chiarire le differenze che esistono tra essi, anche se poi a mio giudizio, indipendentemente dalla definizione che si usa, la cosa più importante è uscire di casa e incamminarsi su un sentiero!

Escursionismo

L’escursionismo è l’attività di camminare nella natura lungo un percorso (conosciuto o no) più o meno lungo, che non impieghi più di una giornata, quindi senza pernottamento. Generalmente per le mie escursioni utilizzo i sentieri segnalati dal C.A.I. (Club Alpino Italiano) o dalla F.I.E. (Federazione Italiana Escursionismo). Nell’escursionismo all’attività fisica in sé si unisce l’amore per la natura e quindi chi lo pratica, si tiene in forma, rilassandosi e scaricando lo stress. Varie le difficoltà che si possono incontrare: a tal proposito vi rimando alla scala delle difficoltà proposta dal C.A.I. nella pagina “roadbook”.

Hiking

Con questo termine, si definisce un’attività motoria molto affine all’escursionismo con caratteristiche “sportive” indubbiamente più marcate.
 Lo “speed hiking”, che potremmo definire “escursionismo veloce”, non ha nulla a che vedere con il soffermarsi a contemplare la natura, cercare funghi o attività simili. Lo speed hiker dovrà accelerare ogni falcata avvicinandosi quasi al ritmo della corsa. Egli porrà, quindi, maggiore attenzione alle tempistiche e alle caratteristiche sportive del gesto, rispetto a quelle naturalistiche e paesaggistiche.

Per indicare lunghi percorsi che richiedono molto tempo per essere completati – ad esempio l’Alta Via dei Monti Liguri – si utilizza il termine “thru-hiking”. Quando ci si vuole riferire al percorrere quegli stessi lunghi sentieri in più riprese, perciò non in maniera continuativa, si utilizza la terminologia “section hiking”.

Trekking

Quando parliamo di “trekking”, invece, ci riferiamo a lunghe camminate nella natura che coinvolgono anche il pernottamento, in tenda o in rifugio, e che quindi si sviluppano su un arco temporale superiore alle 24 ore. Il trekking pone particolare attenzione agli aspetti naturalistici del percorso, affrontato mettendo in secondo piano l’aspetto “sportivo” dell’escursione stessa.

È curioso notare come la parola “trekking” venga senz’altro più usata da noi italiani, rispetto a quanto venga fatto nei paesi anglofoni. In inglese infatti viene usato prevalentemente, per indicare quel tipo di attività, il termine “backpacking”, per sottolineare il viaggio lento compiuto con lo zaino in spalla. Perciò il “backpacker” è colui che viaggia portandosi a presso tutto il necessario per dormire (tenda, sacco a pelo…) riducendo al minimo le spese del viaggio stesso.

La mia “cassetta degli attrezzi”

Non indicherò marchi e modelli dei materiali che utilizzo nel corso delle mie escursioni (più o meno veloci) ma, non essendo un “tecnico”, solo le loro caratteristiche principali.

Ho cercato e cerco di acquistare i prodotti con il migliore rapporto qualità/prezzo, consapevole di non avere né le esigenze di un top runner (semmai, piuttosto, posso definirmi un “bradip runner”) né di un alpinista professionista.

Bradip runner in azione

Su alcuni materiali/attrezzature non scendo a compromessi perché nelle mie escursioni o partecipando a gare di trail running posso viaggiare su terreni difficili, spesso da solo e per molte ore. Perciò sicurezza, protezione e comfort sono elementi sui quali, anche se sono genovese, non me la sento di risparmiare.

Dunque, di cosa ho riempito scatole e scarpiera?

Continua a leggere….

Scarpe

Un vecchio proverbio inglese recita: “no foot, no horse”, (senza il piede non c’è cavallo). E’ un’antica massima di Senofonte, generale ateniese che esprime con efficacia l’importanza cruciale della salute e della robustezza dello zoccolo per il benessere e l’usabilità del cavallo.
Ebbene, anche se non sono un cavallo, per me vale lo stesso concetto: se non calzo la scarpa giusta, non vado da nessuna parte.
Quindi, la prima e (forse) più importante spesa da affrontare per mettersi in cammino, è la scelta del giusto modello di scarpe.
La prima cosa che voglio dire è che l’estetica non è un parametro adatto ad orientare la scelta, non dimentichiamo che si tratta di una “attrezzatura tecnica”: le caratteristiche che mi interessano sono altre.
Ed in effetti, ho avuto ed ho tuttora scarpe dai colori a dir poco “improbabili” che prima di usare su sentiero indosso in città (facendo storcere il naso ad Anna): ma che non mi hanno mai dato il minimo problema.
Io utilizzo scarpe basse, da trail (A5 nella classifica delle scarpe da running).
Sono scarpe robuste, che assicurano:
– buona aderenza su (quasi) qualsiasi superficie: ma su erba, rocce e legno bagnati non c’è suola che garantisca una tenuta sicura;
– stabilità del tallone;
– ammortizzazione ottimale;
– traspirazione, per evitare che il ristagno di umidità possa provocare vesciche. Se c’è una pozzanghera, un torrente da guadare non cerco certo improbabili aggiramenti per evitare che le scarpe si bagnino: mi ci infilo dentro!
– comodità: devo calzarle per parecchio tempo;
– mediamente una buona protezione da tutti gli elementi che posso incontrare lungo il percorso: spuntoni o superfici abrasive, sfasciumi, ghiaioni, rocce, rovi ecc.

Non ho mai acquistato scarpe da trail dotate della membrana Gore-Tex, quindi non posso esprimere giudizi personali in merito. Quelli che ho raccolto da chi le ha provate, mi fanno pensare che le scarpe in mesh abbiano due “plus”: il primo è che il piede suda di meno, il secondo è che se anche ti si bagna poi si asciuga molto più velocemente.

Calze

Nelle attività outdoor che pratico, sono i piedi la parte del corpo a sopportare le maggiori sollecitazioni dovute all’attrito costante del piede contro la scarpa, ecco perché le calze ricoprono un ruolo fondamentale nel tutelare il benessere durante un’escursione o una competizione.

Le calze sono un vero e proprio cuscinetto che si trova tra i piedi e le scarpe il cui ruolo, delicatissimo, è proprio quello di assorbire e ridurre al minimo i punti di frizione tra le parti più delicate del piede e la scarpa. Non solo: hanno anche la funzione di regolare la temperatura e l’umidità dei piedi, favorendo lo smaltimento del calore attraverso la traspirazione del sudore. Mantenere i piedi a una temperatura confortevole regolandone l’umidità è uno dei compiti più importanti.

Quelle che utilizzo io, sono basse e adatte all’utilizzo abbinato alle scarpe da trail o speed hiking, caratterizzate da una calza doppia fino alla parte mediale del piede per ridurre gli sfregamenti, limitare le irritazioni e il rischio di vesciche. Sostengono in maniera ottimale i malleoli contribuendo a ridurre il rischio di distorsioni. Però non lo eliminano: infatti ogni tanto (fortunatamente non spesso) mi capita di ritrovarmi con la caviglia sinistra, la più colpita, gonfia come un melone.

Ho provato anche ad utilizzare quelle “lunghe”, ma pur non avendo avuto particolari fastidi, preferisco quelle basse.

Sopra le calze basse ho provato a utilizzare anche gambali ad effetto compressione graduata. Si basano su un concetto “medicale” che è stato poi trasferito allo sport e dovrebbero favorire una corretta circolazione anche sotto sforzo, riducendo l’affaticamento muscolare. Se la compressione esercitata sul polpaccio e il loro effetto “massaggio” mi abbiano portato grandi giovamenti rispetto a quando ho indossato i calzini corti, non ve lo so proprio dire. Quello che è certo è che questo, come altri, è stato un acquisto di impulso in una nota catena di negozi di articoli sportivi.

Invece ho tratto giovamento dall’utilizzo, dopo un impegno muscolare particolarmente intenso, delle calze lunghe a compressione graduata. Mi sembra che riducano i dolori da affaticamento (o sarà solo un effetto placebo?).

Pantaloni

Ne ho provati di tutti i tipi, forme e prezzi.

Da quelli lunghi fino alle caviglie, passando per i “corsari” (lunghi fino al polpaccio), per arrivare ai cosciali (lunghi fino a poco sopra il ginocchio), concludendo con quelli da montagna modulabili (che si possono trasformare in short).

Di quelli lunghi alla caviglia (definiti fuseaux o tight) ne ho di due spessori differenti: uno per quando la temperatura si abbassa ma non sento ancora freddo; uno quando, invece, esco a camminare in pieno inverno.

Non mi trovo bene con i corsari e, infatti, li uso pochissimo.

Quanto ai cosciali, sono quelli che preferisco e che utilizzo più spesso dalla primavera all’autunno.

Nel mio corredo ne ho tre modelli, entrambi con effetto compressione, come i gambali. I più “sofisticati” sono stati realizzati tenendo in considerazione sia il peso sia la statura dell’utilizzatore. Hanno due tasche doppie (davanti e dietro) e altre laterali per i gel o le barrette.

Alle volte uso anche i pantaloni da montagna in versione “short”: leggeri e traspiranti, garantiscono grande libertà di movimento. Hanno molte tasche e la parte inferiore del pantalone può trovare posto nello zaino per eventuali necessità. Non escludo, in futuro, di cedere alla tentazione di provare un capo tecnico per speed hiking.

In ogni caso le caratteristiche che, secondo me, devono avere i pantaloni sono la comodità e la vestibilità, oltre a un ottimo rapporto qualità/prezzo.

Maglie e magliette

A manica corta e a manica lunga; leggere o più spesse; di marca o anonime.

Ne ho accumulata una quantità industriale che non so più dove mettere. Sono acquisti d’impulso o, più spesso, eredità di gare alle quali ho partecipato.

Sono leggere, traspiranti e asciugano in fretta. Hanno un unico problema: quando si suda – e si suda – non sono esenti da cattivi odori.

Ne porto sempre una di scorta nello zaino, poiché oltre a pesare poco, sono molto comprimibili.

Quando non fa ancora così caldo per essere indossate da sole, costituiscono un ottimo primo strato se abbinate a un indumento più pesante.

Per la stagione fredda ho nel mio corredo un certo numero di maglie intime a maniche lunghe. Sono realizzate in tessuto sintetico e la loro composizione accelera la traspirabilità ed evita la comparsa di irritazioni provocate dagli sfregamenti. Devo dire che, se utilizzate come primo strato, offrono un ottimo comfort termico anche quando le temperature sono piuttosto rigide. A volte, le ho utilizzate anche da sole senza patire freddo.

Per il freddo particolarmente pungente ho anche indumenti in capilene.

Come secondo strato, utilizzo indumenti in sintetico che garantiscono un buon confort termico per temperature comprese tra i 5 e i 15 gradi. Ad ogni buon conto nello scatolone ci sono anche due pile a differente densità e peso.

In ultimo, riaffermo la validità, per chi ama praticare attività outdoor, della vecchia regola del vestirsi “a cipolla”, cioè a strati sovrapposti.

Giacche e giacchette

Utilizzo essenzialmente tre tipologie di giacche:

  • una leggera che garantisce protezione contro il vento e la pioggia leggera;
  • un guscio con cappuccio realizzato con un tessuto impermeabile, antivento e traspirante a 2,5 strati;
  • un piumino con imbottitura 90/10 che garantisce isolamento termico, leggerezza e comprimibilità.

In particolare il guscio ha le caratteristiche tecniche richieste dal regolamento delle principali competizioni di trail/mountain running: minimo consigliato 10.000 mm di colonna d’acqua (Schmerber) e indice di traspirabilità inferiore a RET= 13.

L’impermeabilità di un tessuto è definita ponendo il tessuto al di sotto di una colonna d’acqua, di diametro un pollice (2,54 cm), che cresce fino a che l’acqua passa attraverso il tessuto; l’altezza raggiunta in mm definisce la impermeabilità del tessuto stesso.

L’indice RET (Resistance Evaporative Transfert) misura la capacità di un tessuto a lasciare evaporare il sudore. Essendo il RET un indice di resistenza, più è debole più indica la traspirabilità dell’indumento.

In casi del tutto particolari (che fino ad ora, fortunatamente non ho sperimentato), è possibile utilizzare il piumino sotto il guscio per avere isolamento termico e protezione dalla pioggia.

A proposito di protezione, in caso di pioggia continua, quando vien giù come Dio la manda, non illudiamoci: non c’è tessuto che tenga. Per quanto possa essere “avanzato”. Perciò potrebbe essere utile portarsi dietro, in fondo allo zaino, un poncho dotato di cappuccio. Una volta indossato sopra i capi tecnici potrà proteggere al meglio anche lo zaino.

Berretti, bandane, guanti, occhiali

Anche in questo caso faccio sfoggio di soluzioni e materiali. Ma la caratteristica principale deve sempre e comunque rimanere l’utilità.

Essendo quasi completamente “pelato”, nel mio corredo sono presenti due tipologie di berretto: quello con visiera (di differente peso e colore per difendermi dal sole o dalla pioggia) e quello a cupola, di lana o di pile (ho utilizzato anche lo scaldacollo in pile come berretto, con buoni risultati in termini di calore). Ne ho anche un modello in pile dotato di paraorecchie (fondamentale in inverno).

Di bandane ne ho una discreta serie, eredità di gare precedenti. Molto pratiche perché hanno molteplici soluzioni di utilizzo: possono infatti essere utilizzate all’occorenza come berretto, scaldacollo, o come fascia tergisudore.

Anche di guanti ne ho di diverso peso e struttura: da quelli leggeri con muffole amovibili per isolare quando fa un po’ più freddo a quelli invernali dotati di membrana antivento e idrorepellenti (non impermeabili, però), a quelli in pile.

Per una migliore impermeabilità, ho visto utilizzare due soluzioni “fai da te” da indossare sopra i guanti abituali. La prima, very low cost, è costituita dai guanti che si trovano dai benzinai. La seconda, anch’essa a basso costo, è costituita dai guanti per lavare i piatti: hanno il pregio di coprire anche i polsini della giacca e sono sicuramente impermeabili. Da un punto di vista estetico….ma chi se ne frega?

Nel caso di temperature particolarmente rigide, ho anche in dotazione un paio di sottoguanti in seta: non si può dire che non sia previdente!

Devo dire che utilizzo poco gli occhiali da sole: solamente in caso di forte riverbero o di raggi diretti. Ma con il sudore tendono a scivolarmi sul naso e mi infastidisco a tirarmeli sempre su. Comunque pesando molto poco, li ho (quasi) sempre nello zaino.

Come lavare gli indumenti tecnici

A questo punto, qualche consiglio pratico, sulla base della mia esperienza, per cercare di mantenere l’equipaggiamento sempre come nuovo il più a lungo possibile! 

  •  lavare sempre a 30°
  •  non utilizzare l’asciuga biancheria, i tessuti degli indumenti tecnici sono studiati per asciugarsi rapidamente.
  • farli asciugare naturalmente (sul filo da stendere esterno o, in casa, sullo stenditoio) evitando il calore diretto (non mettiamoli, cioè, sui termosifoni bollenti)
  • per la felicità di tutti noi, dimentichiamo la stiratura. I componenti utilizzati sono poco sgualcibili e quindi non è necessario stirarli.
  • non mischiarli con prodotti che sfregano perché potrebbero rovinare la maglia. E’ meglio lavarli a rovescio, così si preservano anche le eventuali scritte.
  • utilizzare un detersivo liquido ed evitare l’ammorbidente, perché nuocerà alle proprietà di traspirabilità.
  • ATTENZIONE! NON utilizzare mai candeggina per lavare gli indumenti tecnici, nemmeno per le calze.

Il mio pronto soccorso “tascabile”

I “guai” per chi fa attività outdoor possono derivare da fattori ambientali come la quota, il caldo o il freddo, dall’affaticamento dovuto all’impegno psico-fisico richiesto dall’escursione/allenamento/gara, oppure da infortuni veri e propri come fratture, distorsioni, o ferite.

Lungi da me affrontare qui l’argomento “medicinali” e tantomeno fornire consigli!

Voglio però dirvi cosa, in linea di massima, metto di volta in volta in un apposita sacca o nella tasca interna dello zaino per fare fronte ad alcuni imprevisti.

Dunque:

  • qualche pastiglia ad effetto antiinfiammatorio da usare solo in casi davvero estremi. Sconsiglio vivamente di utilizzare un antinfiammatorio per “tamponare” ad esempio un dolore muscolare illudendosi che passi e non peggiori con il prolungarsi dello sforzo fisico;
  • pomata per contusioni;
  • cerotti per le vesciche (anche se, fortunatamente, ne soffro poco);
  • garze impregnate disinfettanti;
  • benda elastica adesiva adatta a fare una fasciatura (minimo 100 cm x 6 cm);
  • farmaco antidiarroico;
  • coperta isotermica di sopravvivenza (chiamata più spesso “telo termico”).

A cosa serve?

In caso di problemi o di ferite lungo il percorso, la coperta permette di proteggersi dal freddo, dal caldo, dalla pioggia, dall’umidità e dal vento in attesa dei soccorsi.

Come si usa la coperta di sopravvivenza?

Essa ha due lati: di solito un lato dorato ed uno argentato.

Quando il lato dorato è all’esterno, protegge dal freddo perché permette di mantenere costante la temperatura del corpo, (non è, però, una termo coperta).

Quando il lato dorato è all’interno, protegge dal caldo perché il lato argentato riflette i raggi solari.

Per un suo uso corretto, la coperta deve avvolgere interamente la persona. Il minimo foro o strappo, lascia passare il vento all’interno rendendo inefficace la coperta. Una coperta di sopravvivenza è un presidio generalmente monouso e non sterile.

Consiglio di leggere le istruzioni fornite con la coperta e di verificarne periodicamente l’integrità, perché non è eterna e in caso di necessità potrebbe essere inutilizzabile.

Borracce vs camel bag

La scelta tra borracce e camel bag (la sacca per idratazione) è un argomento di discussione ormai classico. Di fatto, entrambe le soluzioni sono adottate sia dai runner che dagli escursionisti ed io non mi sono sottratto alla loro sperimentazione.

In un primo tempo ho adottato il camel bag (di diverse capienze in funzione dello zaino utilizzato) ma nonostante il pregio di idratarsi con rapidità e continuità, non mi sono trovato granché bene soprattutto per due motivi: lungo e complicato da riempire e difficoltà a capire quanta acqua avevo consumato e quanta ancora ne restava nella sacca. Altra questione di una certa importanza è la sua pulizia, per evitare che ristagni umidità e si formino muffette che potrebbero causare problemi intestinali.

Adesso utilizzo le borracce, in genere due da 600 ml, in plastica semi rigida, che mi offrono la possibilità di diversificare il contenuto: in una metto acqua semplice (magari con l’aggiunta di succo di limone) e nell’altra aggiungo integratori o sali all’acqua. Presentano estrema facilità di riempimento, perciò le posso rabboccare ogni volta che trovo una sorgente o una fontana. Inoltre, riesco a tenere sotto controllo la quantità di liquido che consumo.

In ultimo, in una tasca esterna dello zaino porto un bicchiere di plastica semi rigida, che sempre più spesso è reso obbligatorio dagli organizzatori di gare di mountain running perché, rispettando l’ambiente, vogliono evitare uno spreco di bicchieri di plastica usa e getta sul percorso.

Lo zaino e il marsupio

Ormai si possono trovare zaini di dimensioni e capienza adatta ad ogni esigenza. La parola d’ordine sembra essere una sola: leggerezza e la moda del momento per i “top runner” li vuole più simili alle maglie multitasche da ciclista per struttura e aderenza al corpo. Io, invece, non avendo né esigenze di sponsor da soddisfare né “crew” sul percorso che mi fornisce assistenza, uso attualmente uno zaino che ha una capacità di 17 litri, è abbastanza leggero (circa 400 g) e mi consente di portare con me comodamente tutto il necessario.

E’ composto da:

  • un’unica tasca interna in mesh
  • uno scomparto principale
  • due tasche con cerniera sul cinturone, dove ripongo gel e riserve alimentari (barrette)
  • una porta borraccia amovibile su uno spallaccio, che utilizzo per metterci dentro la minutaglia (bicchiere, fazzoletti ecc.)
  • due tasche laterali in rete che utilizzo come porta borraccia.

Ha un sistema di regolazione leggero e facile da usare che elimina i punti di pressione sullo sterno e aumenta la traspirabilità e una cinghia di compressione anteriore, regolabile per maggiore stabilità durante il movimento.

Lo schienale è leggero, morbido ed è studiato per garantire un’ottima traspirabilità e per adattarsi perfettamente alla schiena. La traforatura aumenta la ventilazione e i tessuti drenanti asciugano rapidamente. L’imbottitura garantisce comfort e protezione. Gli spallacci sono leggeri e realizzati per aumentare la ventilazione e ridurre la frizione sulle spalle e intorno al collo.

Avrebbe anche lo spazio per alloggiare il camel bag, ma non lo utilizzo.

Nel mio corredo ho anche un marsupio che utilizzo durante le uscite brevi (max. 2 h) su percorsi dove è frequente la possibilità di dissetarsi e nel quale riesco a stipare oltre a chiavi, smartphone, documento d’identità e riserva alimentare solo una giacchetta antivento. Nelle tasche laterali posso portare le borracce (preferibilmente quelle morbide) o il bicchiere di plastica semi rigida.

Come riempio lo zaino?

E adesso che ho elencato (non completamente) la mia personale “cassetta degli attrezzi”, cosa infilo nello zaino nelle mie escursioni a passo veloce?

Il criterio (non l’unico e, forse, nemmeno il migliore) al quale mi attengo è il seguente: le cose che penso mi possano servire più frequentemente le metto sopra e quelle che potrebbero rimanere inutilizzate sotto. Tutto questo materiale lo ripongo in sacchetti impermeabili (così dice il costruttore) per abbigliamento con apertura e chiusura in velcro e differenti misure. Per una maggiore impermeabilità può essere utile mettere le cose più piccole in un sacchetto di quelli per congelatore prima di riporli in questi sacchetti.

Nel mio zaino trovano spesso posto (elenco non completo):

  • una maglietta di ricambio (durante la stagione fredda, una maglia intima a maniche lunghe);
  • una maglia che possa servire da secondo strato più caldo (ad es. micropile);
  • calze di ricambio;
  • una bandana (nella stagione fredda uno scalda collo in pile) o un berretto;
  • il guscio impermeabile (o la giacca antivento)
  • quando le temperature tendono ad abbassarsi, i guanti, i manicotti per le braccia;
  • un coltellino tipo “svizzero”;
  • un cordino;
  • gli occhiali da sole;
  • il kit di pronto soccorso “tascabile”
  • smartphone e caricabatteria “esterno”;
  • nelle tasche esterne in vita: gel e barrette, oltre a un tubo di pastiglie di maltodestrine.

Non trova posto l’iPod o simili per ascoltare la musica.

Personalmente non amo questi strumenti tecnologici (sarò “antico”, ma è così). Nelle mie escursioni o nelle gare preferisco tenere mente e orecchie libere per “sentire” i rumori della natura: da quello dell’acqua di torrenti e cascate, al fischio delle marmotte, al fruscio del vento fra i rami degli alberi, ma anche un’ eventuale caduta di pietre.

Se proprio voglio farmi compagnia, canto. Però solo quando sono veramente sicuro che nessuno mi senta!

Ultimo, ma non meno importante: non dimentico mai un documento d’identità e una piccola riserva di denaro che può sempre tornare utile per i motivi più disparati.

I bastoncini

Ed eccoci arrivati a un altro argomento di discussione nel quale i pareri si dividono tra scettici ed entusiasti: l’utilizzo dei bastoncini nelle escursioni o in gara.

Alcuni li giudicano inutili, scomodi, innaturali. Altri, fra i quali il sottoscritto, indispensabili e, in certi frangenti, irrinunciabili. Una regola universale non esiste: chi ritiene di continuare a non utilizzarli, lo può tranquillamente fare.

I bastoni, per aiutarsi nelle lunghe marce in montagna (e non solo) sono usati fin dall’antichità. E anche adesso i motivi per usarli nelle attività outdoor sono più di uno.

Provo a sintetizzarne alcuni che mi sembrano importanti.

  • Scaricano lo sforzo sulle articolazioni

In particolare le ginocchia; sia in salita, quando si può far leva con le braccia per superare qualche dislivello, che in discesa, quando possono ridurre il carico sulle gambe evitando di infiammare i tendini delle ginocchia. Aiutano a scaricare fino al 30% del peso: in questo modo io che peso oltre 82 kg (non sono propriamente un “peso piuma”), utilizzando i bastoncini sgravo le ginocchia di circa 25 Kg di peso.

  • Migliorano l’equilibrio

Parafrasando una celebre pubblicità di qualche anno fa con testimonial Carl Lewis, potremmo dire anche per le attività outdoor che: “la potenza è nulla senza il controllo”. E in molte situazioni più appoggi sono meglio di due. Su questo, credo, possiamo essere tutti d’accordo. Ciò è vero solo ed esclusivamente se i bastoni sono utilizzati in coppia (come dovrebbero SEMPRE essere utilizzati), perché l’uso di un solo bastone rende la camminata asimmetrica provocando numerose torsioni del busto che, alla fine della nostra fatica, si faranno sentire.

  • Regolano la postura

Se usati correttamente, muovendo contemporaneamente braccia e gambe in modo alternato, si ottiene una camminata più fluida e scorrevole e un aumento della frequenza dei passi. Si avrà così una positiva influenza sulla postura che sarà più eretta, più corretta e meno dispendiosa in termini di fatica. Perciò si sentirà meno la stanchezza. E pure schiena e spalle, alla fine dell’impegno ringrazieranno.

  • Migliorano la respirazione

Il loro utilizzo durante la camminata favorisce l’apertura della cassa toracica permettendo di respirare a pieni polmoni. Tutto ciò porta a una migliore ossigenazione del sangue e di conseguenza meno affaticamento e più efficienza.

  • Sono uno strumento di emergenza

Per sondare il fondo di un ruscello o tastare sotto il fogliame; ma anche come appiglio per aiutare qualcuno a sollevarsi da terra e mille altri usi.

L’unica controindicazione all’uso dei bastoncini si ha quando “dobbiamo avere” le mani libere: su terreno particolarmente impervio oppure nel caso di brevi passaggi su rocce, magari un po’ esposti, possono essere di intralcio se non addirittura pericolosi. Se il tratto dove abbiamo bisogno di avere le mani libere è lungo o richiede un surplus di attenzione (e i bastoncini potrebbero essere motivo di distrazione) conviene chiudere i bastoncini e riporli nello zaino (all’interno o all’esterno) con le punte rivolte verso il basso e, possibilmente, coperte dai gommini.

Adesso che siamo convinti che è bene usarli, quali scegliere?

Il mercato offre modelli diversi per materiali e caratteristiche costruttive e perciò non ve ne indico uno in particolare. Provo a dirvi quali sono gli elementi distintivi di quelli che utilizzo io.

Anzitutto sono da escursionismo e realizzati in alluminio. Quelli “fighi” in carbonio sono leggerissimi, ma più fragili nel caso ci si cada bruscamente sopra (a me è successo l’anno scorso in una discesa ripida con terreno viscido) e costano di più.

Sono telescopici, a tre segmenti incastrabili tra loro; sono comodi perché facilmente smontabili e inseribili nello zaino. Hanno un giusto compromesso tra leggerezza e robustezza. L’impugnatura è in schiuma, che garantisce una buona presa (io per evitare problemi di sudorazione e rischio di vesciche, utilizzo un paio di guantini da ciclista) ed è di tipo lungo: consente di adattarsi al meglio alla variabilità del pendio. La punta è in tungsteno e si è rivelata molto resistente.

Dopo aver frequentato un corso di Nordic Walking (NW), ho acquistato un paio di bastoncini specifici per questa disciplina. Eh già: sono diversi da quelli per escursionismo o trail running. La differenza più evidente sta nel lacciolo: quello del bastoncino da NW ha sempre un “sinistro” e un “destro” e lo si può staccare facilmente dall’impugnatura tramite un sistema di gancio rapido tutte le volte che servono le mani libere. Ha una forma simile a un guantino, e permette di avere sempre ben saldo al polso il bastoncino e di riprenderlo velocemente dopo ogni fase di spinta. I bastoncini da NW disponibili sul mercato sono tanti e con caratteristiche e prezzo differenti: telescopici o ad asta fissa, in carbonio o in alluminio. Anche se la mia tecnica lascia molto a desiderare, li uso quando mi alleno su terreno pianeggiante a fondo naturale o al massimo in salite leggere (con pendenze non superiori all’8%).

Ne ho provato le caratteristiche a margine di una gara di trail, così adesso sono tentato dall’acquisto di un paio di bastoncini curvi…