Genova mia che scendi e che sali (1)
Percorso zen
Domenica ho deciso di andare per crêuze (o crose) e funicolari, lasciando libero spazio alla curiosità, scattando ogni tanto una foto e facendo ogni volta un passettino avanti nella conoscenza di Genova.
Un percorso quasi zen. Una sorta di terapia rigenerante.
E ho deciso di farlo in un modo originale (almeno per me, che mi diverto soprattutto quando la strada sale, magari ripida): camminando esclusivamente in discesa, spalle ai monti e volto al mare, con il porto e la Lanterna in lontananza.
Le crêuze
Eh, belìn! Adesso si fa dura: come si racconta a un “foresto” che cosa sono le crêuze?
La spiegazione “ufficiale” direbbe che si tratta di antiche vie in salita che collegano il centro storico genovese alla parte alta della città, raggiungendo infine le mura.
Molto spesso presentano mattoni rossi al centro (pensate per i viandanti) e ciottoli ai lati (per offrire maggiore resistenza agli zoccoli degli animali da soma).
Corrono attraverso muri in pietra che, sormontati da cocci aguzzi di bottiglia, delimitano le proprietà e custodiscono gelosamente qualsiasi cosa esista o accada oltre il loro profilo.
“Di monte” e “di mare”
Se le percorriamo in salita, proiettati verso nuovi universi, diventano “di monte”; mentre se le usiamo a mo’ di trampolino per arrivare al filo di costa diventano “di mare”. Queste ultime sono diventate famose grazie a Faber.
In un passato più o meno lontano furono arterie logistiche di importanza notevole: servirono soprattutto per traghettare uomini e merci verso (e da) la pianura padana. Ma le crêuze sono soprattutto pendenza, aria.
Il ritmo costante in salita (per non scoppiare dopo pochi metri) e quello di un passo leggero in discesa (le ginocchia ringrazieranno).
Sono:
- gradini, tanti, a non finire.
- sole a picco e un muro che fa ombra.
- silenzio, luce.
Arrivare in cima è sempre una conquista; ma anche arrivare in fondo senza ruzzolare!
Quindi avrete capito che c’è un solo modo di raccontare una crêuza e le emozioni che sprigiona: percorrendola passo dopo passo.
La funicolare Zecca-Righi
Collega il centro città con il Parco delle Mura. Si sale con pendenze notevoli (media, circa il 20%; massima, circa il 35%) lungo strette gallerie: un vero e proprio viaggio iniziatico verso dimensioni differenti.
Cabine rosse. Le porte si aprono e…”Welcome on board!”
Si parte. Sembra di stare su un razzo: “Houston! Houston!…”
No, non ci sono problemi (almeno questa volta, benché sovente vada in tilt).
Le gallerie sono scavate nella roccia: lo spazio tra le cabine e le pareti è così poco, che al passaggio si potrebbe sfregare un fiammifero e accenderlo istantaneamente.
Salendo la prima fermata porta il nome di un santo: Nicola, che come primo miracolo sdoppia i binari per consentire l’incrocio delle cabine. Non male!
Poi, giardini appesi di rose, biancheria stesa e limoni.
Dopo circa un quarto d’ora si raggiunge la stazione a monte, al Righi, affacciata su uno slargo dedicato a Giorgio Caproni.
E a chi se non a lui che, proprio perché “foresto” (era di Livorno), è stato affascinato dalla verticalità della mia bellissima città. Per gli abitanti, invece, la verticalità è sempre stata una condizione necessaria.
Le frecce dicono che da qui partono i sentieri per i forti che in epoche passate hanno difeso la Superba (per raggiungerli quasi tutti potete scaricare, nella sezione “Intorno a Genova”, il Guidebook n° 2).
Ora non mi resta che decidere quale crêuza imboccare per scendere e… non c’è che l’imbarazzo della scelta!
(Continua…)
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