Ci sono posti che vorremmo facessero da sfondo alle nostre narrazioni, ce ne sono altri che ne diventano straordinariamente i protagonisti. Il sentiero che da Saint-Martin Vésubie in Francia, appena di là dal confine, a Terme di Valdieri attraverso il Colle di Ciriegia è uno di quei posti capaci di suggerire una storia, ma su cui è inutile costruire qualsiasi tipo di trama perché la realtà è più forte di qualsiasi altro racconto.
Verso la Valle Gesso
Sono partito poco prima dell’alba alla volta della Valle Gesso. Sulla Sopraelevata osservo Genova nella sua austera bellezza e, mentre davanti agli occhi ho la luna piena che sta andando a riposare a ponente, nello specchietto retrovisore fanno capolino i primi bagliori dell’alba dietro il Monte di Portofino.
A quell’ora non c’è quasi nessuno in giro e in poco tempo raggiungo il casello di Genova Aeroporto. Solita sosta all’autogrill di Altare per divorare una caracolle (nome d’arte locale della girella) con crema e uvetta e sorseggiare un caffè: è l’abituale viatico alla giornata in montagna.
Riprendo il viaggio, adesso senza più soste, fino a Terme di Valdieri.
Il bello di essere disagiati
Pur avendone la possibilità, decido di non proseguire in auto verso Piano della Casa del Re. Ho voglia di camminare, di macinare chilometri e dislivello: ho voglia di respirare l’aria fresca del mattino nel bosco.
Accendo il GPS e m’incammino. Quasi senza accorgermene imposto un ritmo che a tratti mi fa venire il fiatone, ma non me ne curo e proseguo: da vero disagiato mentale ho l’obiettivo di percorrere i primi cinque chilometri più o meno in un’ora.
Supero il bivio per i laghi di Fremamorta, quello per il Rifugio Bozano e nel tempo impostomi raggiungo il Piano della Casa del Re.
Colle Ciriegia: sul filo della memoria
Qui mi soffermo a leggere il pannello sul ponte di legno che supera il torrente Gesso della Valletta, che descrive il motivo della mia escursione: ripercorrere una pagina di storia recente. Infatti, dal sentiero che da lì a poco avrei imboccato, “Tra l’8 e il 13 settembre 1943 scesero circa 200 ebrei al seguito dei militari sbandati della IV Armata dell’esercito italiano.
Provenivano dalle più diverse località dell’Europa (Polonia, Germania, Ungheria, Austria, Romania, Grecia, Turchia, Croazia, Russia…), che avevano dovuto abbandonare a causa della persecuzione antisemita. Il loro ultimo rifugio era stata la zona di occupazione italiana in Francia, confidando nel fatto che l’esercito italiano non aveva mai consegnato ai tedeschi gli ebrei delle zone di sua competenza.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre tra l’Italia e gli Alleati, i militari italiani si ritirarono attraversando le montagne, abbandonando i capisaldi sulla zona di confine. Gli ebrei li seguirono pensando di trovare in Italia un luogo protetto dalle persecuzioni razziali. Nelle stesse ore altri profughi ebrei, circa 600, imboccavano il sentiero che passa il confine al Colle di Finestra, scendendo a San Giacomo di Entracque.
Ma Cuneo era ancora occupata e un bando emanato dal comando tedesco ordinava l’arresto immediato di tutti gli stranieri che trovano nella zona. 349 ebrei sono rinchiusi nella ex caserma degli alpini di Borgo San Dalmazzo trasformata in campo di concentramento.”
La salita al colle è stata agevole, sebbene il vallone attraversato risulti assai selvaggio e poco frequentato (infatti, a salire c’ero solo io ?), interamente coperto da massi e detriti.
Sul colle i ruderi della casermetta a presidio del valico e, sul versante francese, in lontananza fa capolino un bunker.
Ridiscendo il sentiero pensando alle speranze che nutrivano quei poveri cristi mentre, chissà con quale fatica, superavano i sassi e i detriti.
Raggiungo infine Terme di Valdieri, mangio qualcosa e mi rimetto in viaggio verso casa.
Ci sono luoghi che la storia la raccontano.
Ci sarò passato accanto decine di volte per raggiungere le mie amate montagne, guardandolo distrattamente pur sapendo cosa rappresenti.
Ma oggi no. Oggi è impossibile far finta di niente.
E così decido di fermarmi: l’impatto è forte.
Davanti a me la ricostruzione di quello che avevo letto nel pannello: “Un paio di mesi dopo 329 di loro sono condotti alla stazione ferroviaria, rinchiusi in carri bestiame e trasportati a Drancy da dove, con diversi convogli sono deportati ad Auschwitz. Soltanto 12 di loro sono sopravvissuti”.
I nomi di queste persone stanno, tutti in fila come allora, sul piazzale che li vide partire per l’ultimo viaggio dopo anni di persecuzioni, violenze, umiliazioni.
Il nome di chi è tornato è in piedi. I nomi sono accostati tra loro secondo i legami familiari, perché fu così che partirono sui vagoni, stretti l’uno all’altro nel tentativo di rassicurarsi al momento di affrontare ancora una volta l’ignoto.
Un luogo che merita rispetto, per non dimenticare i tristi errori del passato.